Perché @#$%! diciamo le parolacce?

Che cosa sono le parolacce e perché sentiamo il bisogno di dirle? Che cosa succede nel nostro cervello?
Un bambino che tiene in mano una testa di dinosauro giocattolo che gli copre la faccia

Vengono ostracizzate, censurate e tenute nascoste ma non c’è niente da fare: che piacciano o meno le parolacce fanno parte del tipo di linguaggio che utilizziamo più spesso, cioè il linguaggio naturale. Le parolacce sono proibite e quindi, come tutte le cose proibite, tendono a essere pronunciate con particolare piacere.

Ma che cosa sono le parolacce? Avete mai pensato all’origine di queste parole? Perché un vocabolo diventa sconveniente ed entra a far parte di un registro linguistico da usare con moderazione, possibilmente non in occasioni formali e soprattutto non davanti ai bambini?

Tabù e convenzioni sociali

Una parola, per diventare indesiderata, deve offendere o oltrepassare quella linea invisibile creata da tabù sociali inviolabili come il sesso e la religione.

In Germania, tanto per fare un esempio, il sesso e la nudità vengono vissuti in modo rilassato e non costituiscono motivo di vergogna e prudescenza, motivo per cui le parolacce vanno a colpire e concentrarsi su altri ambiti: non a caso, l’interiezione tedesca (ma universalmente compresa) “Scheiße!” (letteralmente: merda) è una delle più diffuse.

In altri paesi, come l’Italia e gli Stati Uniti, invece, la sfera sessuale costituisce un tabù quasi intoccabile e che, proprio per questo, viene spesso e volentieri preso di mira da insulti e improperi. In altre parole, indipendentemente dal bersaglio, la parolaccia deve disturbare, far sgranare gli occhi, alzare sopracciglia e suscitare risatine imbarazzate: per tornare di nuovo all’esempio italiano, per anni nella televisione di Stato è stato fatto divieto di pronunciare parole come “membro” e “amante” che, se pure indirettamente, andavano a suggerire quell’ambito proibito di cui abbiamo appena parlato.

Oggi, anche se sarebbe meglio evitare il turpiloquio, alcuni personaggi televisivi e comici se ne servono proprio con lo scopo di attirare l’attenzione su qualcosa di delicato e pruriginoso e, possibilmente, far ridere.

Il contesto

Il secondo elemento che fa sì che una semplice parola diventi una parolaccia è il contesto nel quale l’argomento in questione è considerato come indesiderato: parlare di sesso a un ginecologo, ad esempio, non risulterà sgradito o fuori luogo. Tuttavia, dovreste pensarci due volte prima di iniziare a raccontare le vostre abitudini a letto durante un colloquio di lavoro.

Allo stesso modo, cercare di insultare qualcuno chiamandolo “testa di organo riproduttivo maschile” lascerà la vostra vittima confusa e disorientata e a chiedersi se sia il caso di arrabbiarsi o no. I tabù sociali da infrangere, infine, si evolvono: cose che un tempo venivano considerate inaccettabili (ricordate? Non si poteva dire “membro” in televisione) e provocavano tremendi scandali sono oggi considerate bazzecole e nessuno si disturba neanche più a violarle.

Per questo motivo, alcune parolacce sono passate di moda e vengono utilizzate con un significato diverso da quello per cui sono state inventate (es: “casino”, un tempo associato a luoghi di dissolutezza e depravazione, oggi semplicemente sinonimo di “chiasso”).

Perché diciamo le parolacce?

Così come esistono numerosi tabù da infrangere, allo stesso modo le parole “cattive” vengono pronunciate con diversi scopi e assumono varie forme.

Le imprecazioni, ad esempio, costituiscono una sorta di dialogo personale volto a sfogare rabbia e aggressività. Vengono pronunciate per sottolineare una situazione particolarmente fastidiosa (quando vi fate male, tanto per citarne una) oppure anche per esprimere sorpresa e incredulità. Quando le parolacce vengono rivolte verso qualcun altro, assumono allora la forma dell’insulto e hanno lo scopo di degradare la persona o quello che sta facendo (il @#$%@ che vi ha appena tagliato la strada, ad esempio).

L’effetto, in genere, è sempre quello di “scaricare” una parte della rabbia che si accumula di fronte a determinati avvenimenti ed è, normalmente, benefico… a meno che la vittima del vostro insulto non si offenda e decida di venire alle mani!

Imprecare fa bene

A parte gli scherzi, una ricerca scientifica ha dimostrato che la reazione emotiva dell’insulto accresce la capacità di sopportare il dolore fisico. Non ci credete?

Alla Keele University, in Gran Bretagna, hanno chiesto a dei volontari di immergere le mani in una vasca piena di acqua ghiacciata e di resistere il più a lungo possibile. Ebbene, quelli che ripetevano una parolaccia durante l’esperimento riuscivano a sopportare il freddo in media per quaranta secondi in più rispetto a quelli che usavano una parola qualsiasi. Inoltre, i partecipanti della prima categoria hanno riferito di aver provato meno dolore durante l’esperimento.

Perché la parolaccia attira l’attenzione?

A differenza dei normali lemmi che vengono immagazzinati nelle aree di Broca e Wernicke, le parolacce sono considerate dal nostro cervello come degli aggregati emozionali regolati dal sistema limbico (quello, appunto, che si occupa della sfera emotiva).

A riprova di ciò, la storia clinica di un paziente che, dopo essere stato colpito da ictus cerebrale e da conseguente afasia (incapacità di parlare), riusciva comunque a pronunciare alcuni improperi come “maledizione” (e anche “sì”, “bene”, “certo”) nel loro contesto appropriato, ma era impossibilitato a leggerli nella loro forma scritta.

Ecco perché tutti i tentativi di eliminare le parolacce dal nostro linguaggio sono falliti: la ricerca scientifica ha dimostrato che sono collegate alla sfera emotiva e, beh, lo sappiamo tutti… le emozioni non possono in nessun modo essere messe a tacere.

Le più comuni parolacce in italiano

Ma quali sono le parolacce in italiano? Abbiamo fatto un elenco di quelle più comuni:

  • Merda: sia usata come esclamazione, sia per qualificare qualcosa (“una giornata di merda”, cioè è stata una pessima giornata);
  • Cazzo: esattamente come “merda”, si può usare da sola o per qualificare qualcuno o qualcosa. La parola, di per sé, indica il pene. È probabilmente la parolaccia italiana più usata (un “jolly linguistico” la chiamava Italo Calvino) e può essere usata in un’infinità di modi (“che cazzo”, come esclamazione; “grazie al cazzo” per dire che qualcosa che è stato detto è tanto ovvio che non vale nemmeno la pena dirlo; “testa di cazzo” per insultare qualcuno; “faccia di cazzo”, per dire che qualcuno è sfrontato; “col cazzo” per dire “non se ne parla proprio”, “manco per il cazzo” con un significato simile…)
  • Cazzata: stupidaggine;
  • Coglione: una persona stupida, oppure maleducata, oppure tutte e due; di per sé significa “testicolo”;
  • Stronzo/a: chi si comporta da “stronzo” è una persona di certo poco sensibile, molto maleducata e per niente amichevole nei vostri confronti;
  • Che culo: cioè “che fortuna”; a volte si dice di aver avuto “una botta di culo”, cioè un colpo di fortuna inaspettato;
  • Rompicoglioni/rompipalle: una persona particolarmente irritante;
  • Fa cagare: non è buono, fa schifo;
  • Vaffanculo: sta per “vai a fare in culo” ed è l’insulto per eccellenza, usato per chiedere a qualcuno di levarsi di torno o semplicemente per esprimere tutto il vostro disappunto; a volte accorciato in “vaffa”;
  • Bastardo: persona odiosa, simile a “stronzo”;
  • Inculata: fregatura;
  • Pippa/sega: può indicare sia l’atto di masturbazione maschile che una persona poco abile a far qualcosa (“sei proprio una pippa/sega a carte!”).
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