Ecco un’altra puntata della nostra serie di ritratti. Questa volta parliamo di Giuliano, architetto e papà di tre figli con un sogno: fare un viaggio con loro fino alla Lapponia con un furgoncino abitabile. Per finanziarlo ha scritto un blog su questa avventura: il Rovaniemi Express. Qui ci racconta la sua avventura e di come imparare lo svedese li abbia aiutati ad entrare in contatto con un mondo nuovo e a far capire ai bambini che una lingua è qualcosa di vivo.
“Mi chiamo Giuliano, sono architetto e lavoro come libero professionista a Milano. Mi piace molto viaggiare e penso sia un’esperienza importante anche per i miei figli. Ne ho tre e sono separato: vi potete quindi facilmente immaginare le difficoltà finanziarie collegate ad un lungo viaggio tutti insieme.
La scorsa estate ho deciso che volevo fare qualcosa di forte con loro, qualcosa di importante, un lungo viaggio noi quattro assieme. Per l’aspetto finanziario ho chiesto aiuto ad amici e parenti, ma ho anche dato il via a una raccolta di fondi in internet. A chi mi avesse aiutato ho promesso dei racconti, dei disegni, insomma un pezzo del mio viaggio. E per raccontare di me e dell’avventura in cui volevo cimentarmi ho creato un blog: Rovaniemi Express, dal nome della città che sarebbe stata la meta finale del nostro viaggio. Rovaniemi, capoluogo della Lapponia, la provincia più a nord della Finlandia.
Siamo partiti da Milano con un furgone abitabile prestatoci da un professore mio amico. Questi posti mi hanno sempre attirato, il nord Europa in particolare. Avevo già visitato alcune città, ma questa volta volevo scoprire la natura, quello che è il viaggio, tutto il mondo che c’è tra la partenza e l’arrivo. Avere un mezzo autonomo è stato fondamentale da questo punto di vista.
Immergersi in un mondo nuovo: era una cosa che volevo che provassero anche i miei figli, con la sola protezione mia, loro padre, e di questo furgone. E per immergersi bisogna anche poter comunicare: per questo ho voluto usare Babbel. A me piace imparare nuove lingue da autodidatta, come ho fatto ad esempio con il francese. Imparare una lingua straniera senza il senso del dovere è un modo per esercitare la mente da una parte e dall’altra anche un po’ un gioco o un passatempo. Io imparo una lingua come altri fanno il Sudoku o la Settimana enigmistica. Senza accorgersene alla fine rimangono tante cose in testa.
Per i miei figli è ancora un po’ diverso: per loro la lingua straniera è ancora una cosa che gli viene imposta, qualcosa che appartiene ancora alla dinamica scolastica, del compito. Quello più grande (15 anni) comincia ora a capire che l’inglese serve per comunicare in tutto il mondo, o semplicemente per capire di che cosa parlino i testi delle canzoni che ascolta. Far passare loro un periodo all’estero è utile perché cambia la dinamica del rapporto con la lingua.
Abbiamo fatto molte tappe brevi durante il viaggio, uno o due giorni al massimo, ma abbiamo comunque chiacchierato molto, con i vicini di tenda o con i proprietari dei campeggi. Parlare qualche parola di svedese è sicuramente servito a rompere il ghiaccio. Anche se in Svezia parlano molto bene l’inglese io ho sempre voluto provare a parlare nella loro lingua. Mi veniva abbastanza facile chiedere ed esprimere le necessità minime. Poi ovviamente ti rispondono, e questa è la parte difficile (ride). Lo svedese non è una lingua complicata, al contrario di quanto si creda. La pronuncia è particolare, ma è anche l’aspetto più bello, perché è molto musicale. Uno non se lo aspetta da una lingua nordica, ma invece ha un suono molto dolce.
Ci sono stati dei momenti divertenti in cui i ragazzi hanno provato un po’ ad usare le frasi imparate in svedese, al supermercato per esempio, o in inglese, in altre situazioni. Un bell’episodio che mi è rimasto in mente è stato quando siamo andati nella sauna del campeggio. Io ero uscito un attimo con la piccola a rinfrescarmi e ho lasciato il più grande dentro da solo. Dopo un po’ sono entrati degli svedesi che hanno cominciato a chiacchierare con lui. Mi ha fatto sorridere vederlo parlare con loro: lo spiavo da fuori e lo vedevo parlare in inglese senza che ci fossi io a mediare. È stato importante per lui vedere che ce la faceva ed è stato molto orgoglioso di esserne stato in grado.
Credo sia stata un’esperienza che ci ha arricchito tutti e che ha sicuramente contribuito ad approfondire il rapporto tra di noi. La rifaremo sicuramente.”
Se vi è piaciuto il racconto di Giuliano e avete voglia di scoprire quello che lui e i suoi figli hanno vissuto in quest’avventura, potete visitare il suo blog. Con un avvertimento, però: vi verrà una voglia irrefrenabile di partire seduta stante. Siete avvertiti!