Le fotografie sono state scattate dall’autrice.
Muovere un piede davanti all’altro con le braccia che dondolano a tempo, le orecchie e gli occhi ricettivi, pronti a cogliere ogni particolare della strada che si sta percorrendo. Camminare è così naturale che fa quasi perdere valore al nostro corpo, l’unico mezzo di comunicazione che abbiamo a disposizione fin dalla nascita.
Per alcune persone, però, non è cosi. Percorrere lunghe distanze sulle proprie gambe, sfidando la resistenza di piedi e legamenti, diventa una costante ricerca della propria identità e del senso di appartenenza a un luogo.
Marcher Arrant ha fatto della camminata il suo stile di vita.
“Il mio moniker racconta molto di chi sono” – spiega – “March significa camminare ai margini. Arrant vuol dire sbagliare. La mia filosofia abbraccia la volontà di muovermi superando i limiti, continuando a imparare da quello che scopro intorno a me”.
La storia di Marcher inizia nella periferia di Columbus (Ohio/Usa) dove l’unico modo per scappare alla realtà familiare di due genitori tossicodipendenti, era quello di camminare lontano da casa. “Ho iniziato a muovermi a piedi quando avevo circa 6 anni. Camminavo anche trenta minuti per raggiungere dei bambini della mia età che si trovavano a giocare vicino al centro commerciale della zona. Quando ho iniziato a fare skateboarding, a dieci anni, le distanze si sono allungate. La prima volta, per raggiungere lo skatepark più vicino e tornare a casa ci ho messo quattro ore. Mi sono sentito realizzato nell’avere compiuto un’impresa così audace per un bambino della mia età. Da quell’episodio, lo skate è diventato una scusa per percorrere itinerari sempre più lunghi”.
Con il passare degli anni, muoversi a piedi non ha abbandonato lo stile di vita di Marcher, nonostante camminare in Europa, dove si è trasferito nove anni fa all’età di ventotto anni, sia molto diverso dagli Stati Uniti. “Quando sono arrivato a Parigi mi sono sentito libero di girare ovunque. Negli Usa bisogna stare molto più attenti, se sbagli quartiere la gente ti nota subito, cerca di intimidirti e magari ti rapina. In Europa non mi sono mai sentito così e questa è stata la base che ha dato vita al mio progetto di camminare per ogni strada della città in cui decido di vivere. Durante il mio primo anno a Parigi percorrevo in media cinque ore ogni giorno. In poco tempo, circa 150 camminate, avevo girato tutti i posti più turistici. Sapevo però che c’era ovviamente molto di più da esplorare. Avevo solo bisogno di un metodo per costringermi a trovarlo. Ho recuperato uno di quei libri che usano i tassisti, dove le strade di Parigi sono segnate dettagliatamente, e ogni giorno tracciavo una linea nera che diventava il mio percorso. Arrivare al mio obiettivo era diventata quasi una missione solitaria, una sfida con me stesso che ho deciso di continuare anche a Barcellona”.
Marcher si è trasferito nella città catalana circa 4 anni fa.
“Certe volte mi manca Parigi. La sua grandezza mi dava la percezione di avere infinite possibilità di muovermi. Barcellona è molto più piccola, ma ha il suo fascino. Mi piace perdermi a guardare l’architettura, cosi diversificata da zona a zona. Certo, camminare qui non è facile. C’è molto traffico e ci sono poche aree pedonali. La situazione create dal sovraffollamento dei turisti in aree come quella dove vivo io, il Barrio Gótico, è molto frustrante. Per non parlare dei marciapiedi molto stretti, dove spesso vengono parcheggiati gli scooter. Nonostante questi aspetti, si tratta di una città con tanto da offrire. In questo periodo sto percorrendo il quartiere Eixample. È una zona residenziale che sembra monotona, ma nasconde piccoli parchi da scoprire.
Se la Rambla di notte è il luogo più pericoloso a causa di tutti i turisti ubriachi, Poble Nou è una delle mie aree preferite. È un quartiere industriale, ricco d’arte”.
Da quando vive a Barcellona, Marcher ha unito il suo progetto di camminare per la città all’arte del graffito. “Mi piace lasciare un segno del mio passaggio. È come un marchio, una prova tangibile di quello che sto portando avanti. Tento di fare graffiti almeno una volta su ogni singola strada. Questo è un modo simbolico per dire “Marcher Arrant è passato qui” e per renderla una cosa condivisa con tutti. Instagram è uno degli strumenti che Marcher usa per documentare l’avanzare del suo progetto, insieme a una mappa e a un pennarello bianco con cui scrive i tags. Un po’ come gli artisti che lo ispirano e che uniscono l’arte al movimento.
“Quattro delle mie principali influenze sono il graffiti writer Kids della DAC graffiti, Nietzsche, il poeta Vachel Lindsay e Rimbaud. Una cosa che tutti hanno in comune è il fatto di essere grandi escursionisti, ma anche importanti creativi che hanno fatto del loro essere delle anime perdute una cosa positiva. Anch’io mi sento un po’ così. Questo progetto sta cambiando decisamente la mia vita. Mentre cammino, penso, sogno, cresco e cambio. Divento più intimo con questa città e la faccio diventare parte di me un passo dopo l’altro”.