Ci sono molti buoni motivi per offrire ai propri figli un’educazione bilingue: può essere una scelta dettata dal contesto di vita in una comunità multilingue, dal desiderio di migliorare le prospettive lavorative o dalla volontà di trasmettere entrambe le culture di origine, quando i genitori vengono da Paesi diversi. Ma oltre all’arricchimento culturale, imparare più di una lingua offre anche vantaggi cognitivi: chi è bilingue infatti mostra un rendimento migliore nelle attività che richiedono un’attenzione selettiva, come la concentrazione, l’inibizione e la capacità di spostare l’attenzione tra più elementi nella risoluzione dei problemi. Secondo la teoria attuale, parlare due lingue richiede un’attenzione selettiva per ridurre al minimo le interferenze reciproche e garantire l’uso appropriato di una o dell’altra lingua – e questa attenzione linguistica selettiva migliora lo sviluppo di altri processi di controllo esecutivo.
È per questo che pensiamo che un’educazione bilingue sia una buona cosa, anzi, ottima! Ma diciamocelo, non è proprio la cosa più facile del mondo.
Tra le gioie e difficoltà quotidiane di crescere dei bambini e i consigli di parenti, amici, insegnanti e persino di perfetti sconosciuti, si insinua qualche dubbio:
“E se poi i tuoi bambini fanno confusione e mischiano le due lingue? Secondo me dovresti lasciar perdere.”
“Sei sicura di voler crescere tua figlia con due lingue? Ho sentito dire che così avrà più difficoltà a gestire input diversi e inizierà a parlare molto più tardi del normale.”
“Tuo figlio ha già problemi a scuola, gli renderai le cose ancora più difficili se lo costringi a imparare due lingue alla volta.”
E così, un convinto “sì! vogliamo crescere i nostri figli con due lingue!” diventa un tentennante “mah, forse dovremmo lasciar stare, non sembra un’idea così buona dopotutto…”
Per quanto ci riguarda, siamo sicuri che valga la pena crescere i figli in un contesto bilingue, ma non vogliamo certo contribuire all’assalto di consigli non richiesti che confondono solo le idee ai genitori. Per fare un po’ di chiarezza, abbiamo consultato qualche ricerca scientifica per distinguere i fatti comprovati dalle semplici opinioni. Ecco quindi un riepilogo di vari studi che aiutano a sfatare alcuni miti e placare i timori sull’educazione bilingue dei bambini.
Se l’acquisizione simultanea di due lingue fosse al di là della capacità media dei bambini nell’età dello sviluppo, vedremmo dei ritardi nello sviluppo di chi cresce bilingue: inizierebbe a parlare più tardi rispetto a chi cresce con una sola lingua madre. Ma non è così – come indicano gli studi citati di seguito, il bilinguismo non è correlato a ritardi nello sviluppo, né nelle fasi iniziali né nelle successive tappe fondamentali dell’acquisizione del linguaggio.
Ad esempio, uno studio del Professor Kimbrough Oller, pubblicato sul Journal of Child Language nel 1997, ha osservato un gruppo di 73 bambini che stava imparando sia lo spagnolo che l’inglese a Miami: hanno iniziato a esprimersi con la vocalizzazione (il cosiddetto “babbling”) alla stessa età dei bambini cresciuti con un’educazione monolingue. Inoltre, tre diversi studi di Fred Genessee (2003), J.L. Patterson & B.Z. Pearson (2004) e L.A. Petitto (2001) hanno dimostrato che i bambini bilingui producono le loro prime parole alla stessa età dei monolingui — e ciò si applica non solo alle lingue parlate, ma anche al linguaggio dei segni. Quando si tratta di ampiezza del vocabolario, in effetti si riscontra spesso un vocabolario meno ampio tra i bambini bilingui – ma solo prendendo in considerazione ogni lingua separatamente. Se invece si considerano entrambe le lingue, come in uno studio di L. Bedore del 2005, emerge chiaramente che i bambini bilingui conoscono almeno lo stesso numero di parole dei loro coetanei monolingui — se non addirittura di più. Un altro studio, condotto nel 1996 a Montreal da Johanne Paradis e Fred Genesee, ha osservato un gruppo di bambini che stavano imparando sia il francese che l’inglese e constatato che iniziavano a produrre le prime combinazioni di parole nella stessa fase dello sviluppo dei bambini monolingui, tra il primo anno e mezzo e i due anni di età.
Le conclusioni di queste ricerche indicano che i bambini possono gestire più input linguistici di quanto si pensi e non restano confusi dall’apprendimento di due lingue alla volta; il loro sviluppo non subisce rallentamenti e imparano esattamente la stessa quantità di parole dei loro coetanei monolingui.
Un’altra preoccupazione dei genitori è che i figli non si rendano conto di stare imparando due lingue diverse e finiscano per fare una gran confusione, combinando miscugli o magari addirittura bloccandosi nell’incertezza su quale lingua parlare ogni volta. Ma questo timore non trova conferma nella ricerca scientifica, nemmeno per le fasi iniziali dell’acquisizione del linguaggio.
Non sono i bambini ad avere le idee confuse
In uno studio del 2002, Blagovesta Maneva e Fred Genesee hanno osservato che le prime vocalizzazioni di un bambino di una coppia franco-inglese differivano a seconda di quando interagiva con la madre di lingua inglese o il padre di lingua francese. Anche i bambini più grandi che hanno già iniziato a parlare sono in grado di usare le due lingue in modo appropriato, persino con sconosciuti appena incontrati – come è stato confermato da uno studio sperimentale di Liane Comeau, pubblicato sulla rivista First Language nel 2010. Nell’esperimento, bambini bilingui dai 2 ai 3 anni comunicavano con adulti che parlavano solo una delle due lingue: quando l’adulto in qualche modo lasciava intendere che non aveva capito, anche con segnali generici come “cosa?”, i bambini passavano subito all’altra lingua.
Mix linguistici innocui, a ogni età
Un’idea diffusa è che i bambini bilingui alternino tra due o più lingue nel contesto di una singola conversazione – una pratica nota come code switching (alternanza linguistica) o anche code mixing (mescolanza linguistica). In realtà, è un fenomeno raro tra i bambini. In uno studio del 1995, Fred Genesee ha osservato alcuni bambini di Montreal di circa 2 anni cresciuti con un’educazione bilingue in francese e inglese: in media, mescolavano le lingue in un’unica frase in meno del 3% dei casi. Questi risultati sono stati poi confermati da uno studio indipendente condotto da D. Sauve e Fred Genesee nel 2000, nel quale il code switching avveniva con una frequenza inferiore al 4%.
Questo significa che in almeno il 96% dei casi i bambini non fanno code switching tra le lingue – e anche nel restante 4% dei casi, non dev’essere per forza considerato un problema. Un tempo l’alternanza o mescolanza tra lingue non era vista di buon occhio, ma oggi la si considera un effetto del tutto normale e naturale dell’utilizzo di più lingue. Per chi lavora in un ambiente multilingue come Babbel, è normalissimo comunicare in lingue diverse a seconda della situazione e dell’interlocutore, senza per questo essere considerati vittime di chissà quale confusione generata dalla propriaformazione linguistica.
Anzi, il code mixing nei bambini bilingui può addirittura essere un segno di consapevolezza delle regole grammaticali di ciascuna lingua. Lo conferma il comportamento dei bambini negli studi già citati: anche quando inserivano una parola di una lingua in una frase nell’altra lingua, rispettavano le regole grammaticali di ciascuna. Per esempio, non producevano frasi come “I le like” (“mi piace quello”, con il pronome oggetto “le” francese al posto dell’inglese “it”), che in termini di struttura grammaticale della frase sarebbero scorrette in inglese, che vuole il pronome oggetto dopo il verbo (ma non nell’altra madrelingua, il francese, in cui “le” viene prima del verbo). Ciò dimostra chiaramente che i bambini erano consapevoli delle regole grammaticali in entrambe le loro lingue e che le consideravano in modo separato, senza far confusione e trasferire quelle regole dal francese all’inglese e viceversa.
Il terzo mito: “Se tuo figlio ha disturbi dello sviluppo o difficoltà di apprendimento, imparare una seconda lingua gli creerà ancora più problemi.”
È naturale temere di rendere le cose ancora più difficili ai bambini che già hanno qualche problema a scuola, ma attenti a non sottovalutare le loro capacità.
Bambini a rischio di difficoltà di apprendimento
La ricerca di Frank Genesee nel 1976 ha dimostrato che tra gli alunni di programmi immersivi in francese e inglese anche chi era a rischio di difficoltà di apprendimento non aveva un rendimento peggiore di chi frequentava programmi solo in lingua inglese. Al contrario, i benefici del programma bilingue erano evidenti: gli alunni avevano livelli più avanzati di francese e il loro rendimento nella comprensione orale e nel parlare la seconda lingua era addirittura paragonabile a quello dei coetanei senza alcuna difficoltà di apprendimento.
Bambini con SLI
La diagnosi di disturbo specifico del linguaggio (DSL, o SLI dall’inglese Specific language impairment) si ha quando il linguaggio nei bambini non si sviluppa in modo tipico ma le difficoltà non possono essere spiegate da fattori come un ritardo generale nello sviluppo cognitivo, anomalie fisiche dell’apparato orale, disturbi dello spettro autistico, danni cerebrali acquisiti o perdita dell’udito. In uno studio del 2003, Johanne Paradies ha messo a confronto due gruppi di bambini dai 7 agli 8 anni con SLI, uno bilingue e l’altro monolingue. Ne è emerso che i bambini bilingui dimostravano livelli equivalenti nei loro punti di forza e di debolezza relativi al linguaggio rispetto ai bambini monolingui. In altre parole, i bambini bilingui non mostravano segni di particolari difficoltà a gestire input in più.
Bambini con disturbi dello sviluppo come la sindrome di Down o i disturbi dello spettro autistico
Anche tra i bambini bilingui con disturbi dello sviluppo come la sindrome di Down o i disturbi dello spettro autistico non si riscontrano differenze significative in termini di capacità linguistiche rispetto ai bambini con gli stessi disturbi ma che hanno imparato solo una lingua. Ciò è stato dimostrato in vari studi, tra cui quelli di E.K. Bird e colleghi del 2005 e di C. Hambly e E. Fombonne nel 2012.
La scelta resta individuale, ovvio. C’è anche da tener presente che la maggior parte degli studi citati in questo articolo sono stati condotti su bambini bilingui cresciuti in condizioni favorevoli a Montréal, in Canada, dove sia l’inglese che il francese godono di grande diffusione e pari prestigio come lingue. Queste condizioni non si riscontrano certo ovunque nel mondo e non tutti i bambini che crescono in contesti bilingui avranno la stessa esperienza. È importante osservare i propri figli e le loro reazioni, per vedere se il bilinguismo è l’approccio giusto per loro.
In ogni caso, speriamo che questo articolo abbia placato alcuni timori ingiustificati sulla scelta di un’educazione bilingue per i propri figli: è una decisione che con buone probabilità offrirà loro enormi benefici.