Tutti (o quasi) i modi in cui viene bevuto il caffè in Europa

Come si beve il caffè in Europa? Abbiamo fatto un viaggio attraverso diversi paesi per assaporare i diversi modi in cui viene preparata questa deliziosa bevanda.
Come si beve il caffè in Europa?

Illustrazione di Victoria Fernandez

Di come si beve il caffè in Italia, ne abbiamo parlato qui. Che ne dite di proseguire il nostro viaggio nel resto dell’Europa per scoprire altri modi di bere il caffè?

Seduti ai tavolini di un Café in Francia, ordinando un semplice café vi ritroverete un caffè molto diluito in tazza grande. Il caffè macchiato si chiama noisette, e se al latte preferiste una lacrima di panna, domandate un café-crème. Il café au lait è quello della colazione, più simile a un cappuccino.

In Spagna, mai chiedere un café con leche nella speranza di bere un caffè macchiato: anche in questo caso, si corre il rischio di fare colazione. I soliti golosi possono optare per un café bombón, una variante valenciana, ormai diffusa: il latte (mezza dose) aggiunto alla stessa quantità di caffè, sarà condensato, più dolce e cremoso. I diversi strati delle due parti resteranno visibili e ben definiti in un bicchierino di vetro. Lo desiderate proprio macchiato? Ordinate allora un café cortado: attenzione però a non confonderlo con un caffè corto o ristretto; per questo si chieda invece un café solo. Agli abuelitos spagnoli, come del resto ai nostri nonni, piace un caffè simile al corretto – con un’aggiunta di liquore (brandy o rum) che chiamano carajillo (corajillo), perché è un caffè che dà, letteralmente, coraggio. D’estate, poi, perché non provare il café con hielo: caffè caldo, leggermente più lungo di un espresso, servito con due o tre cubetti di ghiaccio in un bicchiere a parte. Sempre nella comunità di Valencia è chiamato café del tiempo e viene spesso accompagnato da una fetta di limone.

Il Portogallo ha una lunga tradizione in materia: proprio grazie ai colonizzatori portoghesi in Brasile all’inizio del secolo XIX, il caffè si è diffuso un po’ ovunque nel mondo. Due sono le varianti più note; il cimbalino, una sorta di espresso allungato e il galão, un bicchiere con 3 parti di latte macchiato e una di espresso; in versione ridotta si chiama garoto, meja de leite: una metà latte, insomma.

In Inghilterra, come è noto, si predilige il tè delle 5 pomeridiane, un classico Earl Grey accompagnato da scones o lemon shortbread. Il caffè proposto viene tostato direttamente nei coffee roasters oppure è semplicemente caffè solubile sciolto in acqua calda direttamente nelle mug.

Si raccontano diverse storie sull’origine del caife Gailege – che noi conosciamo come Irish coffee – ed esistono moltissime versioni della ricetta classica: un bicchierino di Irish whiskey, una tazza di caffè, zucchero di canna o moscovado, guarnito con una dose generosa di panna fresca, fredda e densa. Questa preparazione dolce, ideata nel 1943 da Joe Sheridan, chef del ristorante aeroportuale di Foynes, nella contea di Limerik in Irlanda, veniva servita per riscaldare e confortare i passeggeri delle traversate transatlantiche. Ovunque si legge la risposta, ormai celebre, che dava Sheridan a chiunque gli domandasse se fosse caffè brasiliano: «No, it’s Irish coffee!».

Che dire della Germania, tra i maggiori importatori mondiali di caffè? Intorno al 1860, come in Italia, era considerato una bevanda rivoluzionaria per le sue proprietà corroboranti e rivitalizzanti. Al giorno d’oggi, i tedeschi consumano tantissimo caffè: alcuni lo chiamano Bodenseh Kaffee. L’etimogia di questo appellativo suggerisce un’immagine molto efficace: caffè (Kaffee) di cui si vede (sehen) il fondo (Boden).
Tra le scelte più golose, ecco il Pharisäer una variante dell’irish coffee: un quarto di caffè, una zolletta di zucchero, due dosi di rum e panna montata; oppure un fresco Eiskaffee, una specie di affogato che troviamo anche in Austria e Alto Adige (l’Eiscafè) – caffè freddo lungo e zuccherato, gelato alla vaniglia e panna montata freschissima, decorata con scaglie di cioccolato, a riempire la coppa.

A proprosito di Austria, sapevate che a Vienna la prima caffetteria è stata aperta nel 1683, alla fine dell’assedio posto alla città dall’esercito turco, per festeggiare la sconfitta degli ottomani? Durante la fuga, sembra che questi avessero abbandonato i loro sacchi di caffè in città. Nel 1824 gli aristocratici asburgici si ritrovavano al Café Frauenhuber per ascoltare le composizioni di Beethoven e Mozart. Anche qui, dunque, la tradizione è lunga e onorata: il caffè non si dovrebbe mai bere di fretta. Tra le varianti più comuni troviamo lo Schwarzer, caffè nero senza latte, il Brauner più chiaro, con una lacrima di schiuma di latte; il caffè macchiato si chiama Goldener, il caffèlatte semplicemente Milchkaffee. Lo volete lungo? Un Verlängerter fa al caso vostro. Più ricco? Il Kapuziner è servito in tazza con panna montata; l’Einspänner consiste invece di un espresso doppio, sempre con panna, servito in un bicchiere.

Mentre in Belgio sembra aver preso piede il café sospendu partenopeo, in Olanda ogni momento della giornata è buono per un koffie veerkerd (lett. “caffè sbagliato”). Si chiama così perché a una dose di caffè (filtrato o espresso che sia) viene aggiunto sempre e comunque troppo latte.

Arriviamo così ai paesi del nord.
La Finlandia è tra i paesi che annualmente consuma la maggior quantità di caffè pro-capite, probabilmente perché nei paesi freddi il desiderio di bevande calde e corroboranti è più forte. Il caffè è solitamente lungo e molto forte benché filtrato; durante e appena dopo la Seconda Guerra spesso veniva “tagliato” e preparato con altri surrogati (orzo, segale, cicoria, rapa gialla e altre radici). Si chiama Kahvi quella bevanda di caffè chiaro filtrato – a piacere, con una goccia di latte –, si beve in una kuksa (tazza) di legno e lo si può accompagnare con una pulla, una pasta dolce. Mi racconta una cara amica lappone che la generazione dei suoi nonni usava bere il caffè versandolo sul piattino perché si raffreddasse, per poi sorbirlo direttamente da lì. Oppure, nel caffè ci si può mettere accanto del leipäjuusto (lett. pan-formaggio), una specie di formaggio compatto preparato sul fuoco per affumicarlo leggermente e renderlo croccante, da tagliare a pezzetti pronti per essere “inzuppati” nel caffè o guarniti con una composta di bacche nordiche che ricordano le nostre more selvatiche.

In Svezia, questo modo tradizionale di bere caffè con il formaggio si chiama kaffeost. Più noto è il termine fika, verbo che deriva da kaffi, e indica la parola caffè in uno svedese arcaico (oggi: kaffe, o fik). Significa “uscire per andare a prendere un caffè” oppure “fare una pausa dal lavoro” (in questo caso: fikapaus). È un momento molto importante per gli svedesi, persino intimo – soprattutto per le coppie con figli piccoli – da trascorrere nelle pasticcerie della città (konditorier), dove un fikabröd (pane dolce per la pausa caffè) è d’obbligo.

Anche in Danimarca non ci si fa certo mancare il caffè: ogni giorno viene consumato abbondantemente, durante i pasti o come softdrink rinfrescante; nel pomeriggio piò essere accompagnato da panini dolci. L’espresso è popolare, nei locali come in strada – lo si può prendere al volo da un’italianissima ape Piaggio. Sia anche detto che i danesi prediligono una miscela mild arabic, una tostatura più chiara e un caffè più lungo rispetto al nostro, filtrato e leggermente acidulo.

In Norvegia incontriamo una preparazione particolare, quella del karsk, bevuto dai contadini del nord: sul fondo della tazza viene posta una monetina e aggiunto caffè finché questa non sia più visible; successivamente si continua a versare liquore finché la moneta non torni in superficie. È risaputo quanto le popolazioni nordiche abbiano a cuore le tematiche ecologiche, ambientali e di sostenibilità. Negli autogrill norvegesi delle stazioni di servizio Statoil è possibile acquistare la Statoil Koppen, un thermos in acciaio che viene gratuitamente rimboccato ad ogni pieno di carburante.

Concludiamo questo giro in Grecia, in modo da lasciare aperta una finestra sulla Turchia. Qui il caffè è mitologia e rito. È il modo in cui viene preparato a distinguerlo: il metodo deriva dalla tradizione yemenita, molto prima che si passasse al processo di filtratura. Il caffè viene direttamente bollito, nel briki, un bricco di ottone, (con un lungo manico, dalla base larga e più stretto al collo) spesso lavorato e inciso con motivi decorativi o di ceramica dipinta, o, in modo da estrarne tutte le sostanze nutritive. Insomma, a seconda delle tazze da preparare, si aggiunge direttamente all’acqua un cucchiaino abbondate di caffè macinato per tazza, per poi portare la bevanda a ebollizione. Piano, in superficie, si formerà una schiuma (chiamata kaimaki) che renderà il caffè cremoso, arrotondandone il gusto forte; è anche il metro per giudicare un buon caffè: più ce ne è, meglio è. Una volta che questa schiuma sarà salita all’orlo del bricco, il caffè sarà pronto per essere servito immediatamente.

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