Il mondo con gli occhi (e la lingua) degli spagnoli: i colori

Che cos’è l’iconolinguistica? Per spiegarvelo, ecco una tavolozza di sfumature che esistono solo nella lingua spagnola. Il “rosa messicano” e il “blu Maya” potrebbero diventare i vostri nuovi colori preferiti.
Colori in spagnolo

Illustrazione di Gabriele Ghisalberti

Con il suo libro “El Lenguaje del Color” (1985), lo scrittore spagnolo Juan Carlos Sanz fu il primo a parlare di “cromatologia iconolinguistica”, ovvero dello studio dei colori e di come vengono nominati nelle diverse lingue del mondo.
Dietro al modo in cui una lingua descrive i colori – e le sue sfumature – si nascondono spesso aneddoti legati a secoli di cultura e di storia. Lo abbiamo visto in questo articolo con il francese, ma si tratta di un discorso valido per qualsiasi lingua.

“Rosa messicano”, “grigio corazzato” e “blu Maya”: ecco, quindi, alcune particolari sfumature dello spagnolo.

Rosa

Quello che in italiano si chiama “fucsia” o “magenta”, in spagnolo è chiamato fucsiamagenta o rosa mexicano. Si tratta infatti di uno dei colori che da sempre i messicani preferiscono per i loro vestiti ed oggetti tradizionali. Il primo a dargli questo nome fu lo stilista e pittore messicano Ramón Valdiosera, che – in occasione di una sfilata newyorkese del 1951 – definì con questa espressione il colore predominante della linea di abiti da lui disegnata con l’obiettivo di promuovere il suo Paese. Si tratta di un chiaro esempio di iconolinguistica messicana.

Inoltre, anche se in spagnolo non esiste una traduzione per il nostro color “fragola”, esistono il “viola uva” (uva) e il “color lampone” (frambuesa).
Possono invece essere tradotti letteralmente dall’italiano il “rosa carne” (carne), il “corallo” (coral) e il “salmone” (salmón).

Quali sono le differenze tra le varietà di spagnolo parlate nel mondo?

Viola

Un viola simile a quello che in italiano si chiama “vinaccia” in spagnolo è chiamato più semplicemente vino o, soprattutto in Sudamerica, vintotinto e concho de vino.

Vinotinto significa letteralmente “vino rosso”. E, con riferimento al colore della sua principale divisa di gara, la nazionale venezuelana di calcio è soprannominata La Vinotinto.
Concho de vino significa invece “feccia del vino”. In passato infatti la bevanda veniva fatta evaporare, per poi estrarre i pigmenti colorati dalla feccia che rimaneva sul fondo dei vasi vinari: da scarto a colorante, insomma!
Inoltre, per rimanere in ambito enogastronomico, in spagnolo esistono il “rosso pomodoro” (tomate), il “senape” (mostaza), il “crema” (crema), il “verde menta” (verde menta) e il “verde pistacchio” (verde pistacho).

Arancione e bianco

Quello che in Europa è comunemente conosciuto come “semaforo rosso”, se si tratta di un semaforo per i pedoni, negli Stati Uniti e in Canada è invece considerato un arancione; porta il nome di una delle più trafficate città americane e si chiama infatti Portland Orange. Gli spagnoli hanno adottato quest’espressione trasformandola in naranja de Portland.

Il segnale che permette ai pedoni di attraversare la strada è invece di un bianco molto acceso noto in inglese come lunar white e non è stato tradotto letteralmente in spagnolo, lingua in cui si distinguono comunque tonalità molto simili come il “bianco gesso” (yeso), “neve” (nieve), “brillante” (brillante) e “candido” (cándido).

Marrone

In spagnolo esistono il color café e il color café con leche cósmico, in italiano noti rispettivamente come “caffè” e “cosmic latte”. Quest’ultimo è stato definito da alcuni scienziati della Johns Hopkins University come “il colore dell’universo” e rappresenta infatti la tonalità della luce emessa dalle stelle visibili dalla Terra ad occhio nudo. Nel 2001 gli astronomi inglesi Karl Glazebrook e Ivan Baldry scelsero questo nome in seguito a un sondaggio online a cui presero parte numerosi utenti. Glazebrook e Baldry notarono inoltre che il “colore dell’universo” cambia man mano che le stelle invecchiano e diventa sempre più caldo.

Analogamente all’italiano, in spagnolo esistono anche il caoba (“mogano”) e il color herrumbre (“ruggine”).
Il león o leonado è invece un colore simile a quello che in italiano viene definito “color cammello”. Entrambi, secondo le accreditate teorie di J.C. Sanz, deriverebbero dall’iconolinguistica africana.

Grigio e nero

Una sfumatura di grigio che non ha alcun corrispettivo italiano è il “grigio corazzato” (gris acorazado), ovvero il colore delle navi utilizzate durante la Guerra Ispano-Americana e nel corso della Prima Guerra Mondiale.

Alcuni esempi di tonalità di nero sono invece il “color carbone” (carbón) e il “color lava” (lava). Quest’ultimo può indicare il colore scuro e cupo della lava solidificata o il rosso molto acceso della lava fluida. L’iconolinguistica a cui si fa riferimento in questo caso è quella italiana.

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Verde e blu

Nei primi anni del Novecento, il botanico e illustratore inglese Joseph Dalton Hooker era alla ricerca di una tonalità di verde adatta alla rappresentazione delle piante, quando ne creò una variante chiara (il verde Hooker n°1) e una variante scura (il verde Hooker n°2), che utilizzò per alcune illustrazioni del “Curtis’s Botanical Magazine”. Come accadde per il Portland Orange, gli spagnoli presto tradussero queste tonalità dall’inglese.

Un colore tipico della lingua spagnola è invece il “blu Maya” (azul Maya), utilizzato in alcune zone del Centro America per murales, sculture e lavorazioni in ceramica prevalentemente dedicate al dio della pioggia Chaac.
Si definisce un “pigmento storico” (venne infatti utilizzato dal VIII al XIX secolo) e si tratta di un colore molto intenso e resistente al sole e all’umidità (per questo è possibile ammirarlo in diverse opere ad oggi ancora in ottimo stato).
Il pigmento fu inizialmente ritrovato solo nella regione Maya dello Yucatán (in particolare nel maestoso Tempio dei Guerrieri di Chichén Itzá) e per questo motivo venne chiamato azul Maya. Diverse opere in blu Maya vennero poi trovate anche in altre zone del Centro America (in particolare, alcuni antichi edifici di Cuba erano decorati con un pigmento molto simile, che i cubani chiamavano però azul Habana).

Un’altra tonalità tipica del Centro America è l’“indaco”, chiamato in spagnolo jiquiliteañil o índigo centroamericano. L’indaco veniva infatti estratto da alcune piante del Guatemala, Paese che per molti anni ne ebbe il monopolio e in cui gli abiti tradizionali venivano spesso realizzati con questo colore.

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