CTRL magazine ha mandato in giro per l’Italia una fotografa e cinque scrittori, per raccontare i luoghi d’Italia in cui la lingua madre non è l’italiano. Un viaggio dal Monte Rosa al Salento, che si è trasformato in un libro-reportage, che si può acquistare qui.
Noi della Rivista di Babbel abbiamo deciso di raccontare – insieme alla redazione di CTRL magazine – questi stessi luoghi, attraverso video e dei brevi articoli, che possano introdurvi in questi mondi antichi, nascosti e italiani, che oggi rischiano di scomparire.
In quasi ogni casa arbëreshë, da qualche parte, appoggiata su qualche mensola o comodino, si troverà una piccola statuetta che ritrae un uomo a cavallo, con tanto di armatura e strano copricapo. Si tratta di Giorgio Castriota Scanderbeg.
Ma chi sono gli arbëreshë? E chi è Scanderbeg?
Dall’Albania all’Italia, molti secoli fa
Gli arbëreshë sono i discendenti delle popolazioni albanesi che giunsero sulla penisola italiana tra il XV e il XVIII secolo. Fuggivano dalla loro madrepatria, dalle invasioni dei turchi-ottomani, dopo la caduta dell’impero bizantino e la morte improvvisa di Giorgio Castriota Scanderbeg, appunto.
Scanderbeg è l’eroe nazionale albanese: principe e re dell’Epiro, diplomatico e abile condottiero, fu capace di resistere all’avanzata degli invasori fino al 17 gennaio 1468,
quando la malaria lo sconfisse. Lasciò dietro di sé un vuoto di carisma, di potere, e una scia di leggende la cui eco si spande fino ai nostri giorni.
Si racconta, ad esempio, che i turchi decisero di sferrare un attacco finale alle forze albanesi all’indomani della morte del condottiero, provando a sfruttare il morale fiacco delle truppe nemiche. Ma le cose presero un’inaspettata e macabra piega: i luogotenenti albanesi issarono infatti la salma di Scanderbeg a cavallo. Dietro il morto galoppava tutto il suo esercito. I turchi non riuscirono a capacitarsi della situazione e – terrorizzati – batterono in ritirata.
Leggende a parte, quel che è certo è che la resistenza albanese durò ancora 24 anni dopo quel 17 gennaio 1468, ma venne infine piegata. Molti furono gli albanesi costretti a fuggire, per mettersi in salvo e una gran parte di questi scelse l’Italia (che era ancora ben lontana dall’essere uno stato unitario) come nuova patria.
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
Una lingua arcipelago
Se si prende una carta geografica dell’Italia centro-meridionale e si evidenziano i luoghi in cui ancora oggi si parla la lingua arbëreshë, quello che si vede apparire è una sorta di arcipelago composto di tante piccole isole.
Isole che sono paesi dell’entroterra, dell’Abruzzo, del Molise, della Campania, della Basilicata, della Puglia, della Calabria, fino alla Sicilia. Piccoli paesi, lontani dalle coste e dagli itinerari turistici più battuti, protetti dall’Appennino, che hanno saputo resistere alla modernità che tutto uniforma, e che sono testimoni viventi di un’autenticità antica.
I nomi stessi di questi comuni rivelano l’attaccamento all’origine albanese (San Paolo Albanese, San Costantino Albanese, per fare due esempi, entrambi in Basilicata) e le chiese conservano gli stili architettonici e i riti bizantini.
Questa diversità è sinonimo di ricchezza e si rispecchia anche nella cucina: sulle tavole arbëreshë non possono mancare la dromesat (si legge “dromsa” e indica un tipo di pasta fatta a partire da grumi di farina che cuoce direttamente in un sugo di pomodoro e spezie), il capretto all’harroje che deve cuocere a fuoco lento almeno per un paio d’ore e una quantità sterminata di dolci che sono il vero centro di questa cucina che proviene dall’altra sponda dell’Adriatico e si è contaminata con quella italiana nel corso dei secoli.
L’arbëreshë oggi
La lingua degli albanesi d’Italia è una delle lingue tutelate dalla legge 482, del 1999. È difficile fare una stima del numero totale dei parlanti arbëreshë. Quello che sappiamo è che non sono pochi: secondo alcuni dati si aggirano intorno alle centomila persone, disseminate in una cinquantina di comunità.
Dato che si tratta di una lingua arcipelago, poi, è difficile parlare di un solo idioma arbëreshë: le differenze da comune a comune, da regione a regione, sono molte.
Quel che è certo è che si tratta di una lingua viva, ancora oggi combattiva, per la cui tutela si impegnano quotidianamente associazioni, pro loco, sportelli linguistici e singole persone innamorate della storia dei loro avi che, un tempo, attraversarono il mare.
Un ringraziamento al professor Donato Michele Mazzeo (direttore e fondatore di “Basilicata Arbëreshë Edizioni”) e alla dottoressa Arjana Bechere per le traduzioni che appaiono nei sottotitoli del video.