Illustrazione di Eleonora Antonioni
Pidgin, una di quelle parole che ti s’incastra tra le labbra, quando la pronunci. E allo stesso modo ti s’incastra nella testa.
Un termine tecnico coniato per indicare quelle lingue che nascono dalla mescolanza di idiomi differenti, in seguito a migrazioni, colonizzazioni più o meno cruente, oppure più pacifiche relazioni commerciali.
La stessa etimologia del termine è dibattuta. L’ipotesi più accreditata è quella che individua in pidgin una deformazione del termine inglese business, così pronunciato in Cina nella prima metà dell’Ottocento. C’è poi anche un’ipotesi più romantica (anche se meno “scientifica”) che vuole che la parola derivi dall’inglese, pigeon, il piccione che – prima dell’era delle telecomunicazioni – veniva utilizzato per inviare messaggi a lunga distanza.
A partire da questo articolo compiremo un viaggio nei cinque continenti (ma anche indietro nel tempo) alla scoperta di alcuni pidgin e della loro storia.
E, in questa prima puntata, inizieremo proprio dalla Cina.
Una storia cantonese
Pare che oggi, in Cina, ci siano tra le 300 e le 500 milioni di persone che conoscono o stanno imparando l’inglese. Una cifra impressionante. Ma facciamo un salto indietro nel tempo, fino al Cinquecento, al 1516 più precisamente.
Questo è l’anno in cui a Guangzhou, attuale capoluogo della provincia del Guangdon (in italiano Canton), arriva il primo portoghese, un mercante: si chiamava Rafael Perestrello, era cugino della madre di Cristoforo Colombo. Il Canton, ai tempi, era una specie di porta (e di porto) della Cina verso il resto del mondo. Un ruolo che, in fondo, conserva anche oggi: la maggior parte dei cinesi che ha creato comunità in giro per tutto il mondo, infatti, proviene proprio dal Guangdong (ed è spesso la cucina cantonese quella si gusta nelle varie Chinatown sparse in Europa e in America).
Tornando al 1516: Perestrello stila un rapporto positivo del suo primo contatto con la terra cinese. E il rapporto raggiunge la madrepatria. Così, l’anno dopo, da Lisbona salpano 8 navi alla guida di Fernão Pires de Andrade, anche lui mercante, anche lui portoghese. Le imbarcazioni, questa volta sono armate di cannoni. E le promesse di pacifici e proficui scambi commerciali – come spesso accadeva e anche oggi, in forma diversa, accade – si trasformano rapidamente in battaglie, morti, trattati di pace. La dinastia Ming, infine, impedisce il commercio con i portoghesi (che, comunque, nel 1557, s’impadroniscono di Macao, facendone la prima colonia europea in territorio cinese). E ai lusitani si sostituiscono, a partire dal 1637, gli inglesi. Ed è a questa altezza cronologica che inizia a prendere forma quella lingua franca che, molto più avanti, sarà etichettata sotto il nome di “Chinese Pidgin English”.
Quasi tutti i pidgin che ancora resistono in giro per il globo raccontano storie ricche di contraddizioni, sospese tra incontri di lingue e culture, e scontri, spesso molti cruenti.
Un frutto spontaneo
Nel XVII secolo, al tempo dell’arrivo degli inglesi, era vietato, per i cinesi, insegnare la propria lingua agli stranieri, soprattutto agli occidentali. But business must go on, e serviva una soluzione. Ed ecco che, come un frutto spontaneo, nasce il Chinese Pidgin English (abbreviato in CPE) che inizialmente è un’ibridazione – più precisamente – tra l’inglese e il cantonese, la varietà parlata in quella che, come abbiamo visto, è stata la prima area in cui Cina e Occidente sono entrati in contatto.
Si trattava di una lingua prettamente orale, che conosciamo solo attraverso alcune trascrizioni che sono giunte fino a noi, spesso grazie ai resoconti di alcuni viaggiatori europei.
Dai porti del Sud della Cina , in seguito, il pidgin si espande – parallelamente all’espansione dei commerci – all’interno dello sterminato Paese: verso Chongqing ed Hankou, lungo il corso del fiume Azzurro, poi nella regione di Shanghai e fino all’estremo nord, a Vladivostok, città sull’Oceano Pacifico che oggi fa parte della Russia.
All’inizio dell’Ottocento il Chinese Pidgin English è diventato una mescolanza di vocabolario e pronunce provenienti non più solo dal cantonese, ma da diverse varietà linguistiche regionali cinesi, che s’innestano su una base inglese. Qualche esempio: muchee era la parola per much (two muchee era l’equivalente di too much); seetop, per stop. Alcuni prestiti, inoltre, arrivavano dal portoghese, testimoni dunque della storia ancor più antica a cui abbiamo accennato sopra: il verbo conoscere, to know, viene ad esempio indicato con sabbee, dal portoghese saber.
Infine, la stessa parola pidgin, come abbiamo visto nell’introduzione, è il termine in CPE per business.
L’evoluzione di questa curiosa creatura linguistica si blocca alla fine dell’Ottocento, quando l’inglese standard inizia a essere insegnato nelle scuole anche in Cina. Poi venne il maoismo, e la rivoluzione culturale…ma questa è decisamente un’altra storia.
E poi c’è anche il Chinglish…
… che però è un’altra cosa. Il Chinglish, infatti, non è un pidgin, ma uno slang vivo e vegeto. Si tratta di un inglese parlato e scritto con forti influenze cinesi; il risultato è una lingua sgrammaticata e a tratti non-sense, spesso fissata in cartelli turistici nelle principali città del paese asiatico, nelle insegne dei negozi, hotel e ristoranti, nei menu… dunque, immortalato in molte foto di viaggiatori divertiti. Un cartello rintracciato nell’aeroporto di Pechino “No Entry in Peacetime” (un tentativo di traduzione di “Emergency Exit only”) ha fatto il giro del mondo.
Le autorità cinesi, in previsione dei Giochi Olimpici del 2008 misero in piedi una vera e propria task force per correggere queste diciture scorrette, con tanto di hotline dedicata a cui far pervenire le segnalazioni.