Ilustrazione di Fotini Tikkou
Siate onesti: vi infastidisce che parole come selfie e apericena siano state ufficialmente inserite nel dizionario?
Siete così tradizionalisti che usate ancora alcune parole italiane desuete quando parlate?
Le generazioni più adulte amano lamentarsi dei giovani e del loro gergo ma, d’altra parte, non parlano nemmeno loro l’italiano di Dante Alighieri. I cambiamenti sono normali, naturali e sani. Anche se i puristi della lingua amano discutere su ciò che si può definire legittima evoluzione, il fatto rimane: il linguaggio rifiuta di rimanere fermo al suo posto.
Ma come si evolvono le lingue? Il dibattito accende sempre gli animi degli esperti.
In alcuni casi, le lingue cambiano perché cambiano le esigenze delle persone che le usano: con l’introduzione di diverse tecnologie e stili di vita, si è reso necessario “inventare” nuove parole per poterne palare. In altri casi, il linguaggio si evolve semplicemente perché non ci sono due individui uguali, e siamo tutti – linguisticamente – un “prodotto” dell’ambiente e delle persone con cui interagiamo. Le lingue cambiano quando coloro che le parlano entrano in contatto con nuove popolazioni (pensiamo al colonialismo e al commercio), e mutano quando diversi gruppi sociali adottano le proprie norme distintive.
Sebbene sia generalmente accettato che le lingue si evolvano in base alla selezione naturale (una sorta di “darwinismo” per le parole), Joshua Plotkin – professore di biologia all’Università della Pennsylvania – ha applicato i principi della biologia evolutiva allo studio della linguistica e ha portato un buon esempio dei motivi per i quali le lingue, come i corredi genetici, possano cambiare in modo casuale. Proprio come la mutazione genetica, le lingue si trasformano quando vengono tramandate da una generazione o regione geografica a quella successiva: il processo è noto come deriva linguistica. Il processo di “replica” del linguaggio nel tempo è imperfetto, ed è modellato dai contributi di genitori, fratelli, coetanei e della comunità più ampia.
Il fattore casuale nell’evoluzione delle lingue
Plotkin ha analizzato anche tre delle principali variazioni nella lingua inglese: la desinenza ed nei verbi al passato, l’adozione della particella do come verbo ausiliare (you say not diventato you do not say), l’evoluzione della negazione (dall’inglese antico ic ne secge all’inglese medievale I ne seye not all’inglese del primo medioevo I say not). Ha determinato che la selezione era probabilmente il motivo per cui si erano modificate le strutture negative delle frasi, ma gli altri due cambiamenti erano probabilmente il risultato di una deriva linguistica casuale che, esaminata da vicino, era in realtà una serie di modifiche repentine che, viste da lontano, sembravano invece un mutamento graduale.
Ovviamente, Plotkin non fu il primo ad affrontare i meccanismi della deriva linguistica. I ricercatori William Hamilton, Jure Leskovec e Dan Jurafsky hanno pubblicato uno studio che ha esaminato alcune delle principali tendenze del cambiamento semantico. Hanno sottolineato come i nomi siano più inclini al mutamento a causa di trasformazioni culturali irregolari (come le nuove tecnologie), mentre i verbi cambino più spesso a causa di una deriva semantica regolare, in gran parte perché semanticamente più mutabili dei sostantivi.
Se quest’enfasi sulla casualità nel campo della linguistica prendesse piede, è probabile che la misteriosità dell’evoluzione organica sarebbe molto più apprezzata e forse ci sarebbero meno tentativi di spiegare processi che a volte possono sfidare la logica.
Il linguaggio è fonte di ispirazione, non vi sembra?