Ciao Francesca, raccontaci un po’ di te
Mi chiamo Francesca, ho 24 anni e sono una ragazza molto curiosa e attenta verso ciò che mi circonda. È probabilmente quest’attenzione per i dettagli che ha sviluppato in me la passione per la fotografia. Mi piace catturare il momento giusto, uno sguardo, una situazione. In quel fermo immagine concentro tutto il messaggio che desidero comunicare. Questa passione ha stimolato in me il piacere di approfondire i contatti umani.
L’esperienza che più ha alimentato questo mio desiderio è stata quella vissuta attraverso il gruppo scout in cui sono cresciuta. Tra i tanti insegnamenti ce n’è uno che mi ha sempre sostenuto, quello che Baden Powell utilizzava per incitare i ragazzi a guardare lontano: spingere la volontà oltre gli ostacoli per fare della nostra vita un’opera d’arte messa a disposizione del mondo di cui siamo responsabili per lasciarlo migliore di come l’abbiamo trovato.
Osservare, conoscere, ascoltare e avere contatti con la gente mi ha sempre stimolato e fatto capire che le lingue possono essere il mezzo per avvicinarmi a tutto ciò. Dopo gli studi classici, mi sono iscritta alla facoltà di Mediazione Linguistica ed Interculturale dove ho studiato tedesco e francese. Ho concentrato l’argomento della mia tesi sul multiculturalismo e multilinguismo, in particolare sulla Willkomenskultur, un fenomeno culturale sviluppatosi in Germania che propone un approccio inclusivo attraverso la lettura di storie di bambini immigrati tradotte.
La cultura dell’accoglienza dunque rappresenta un atteggiamento di apertura e ricettività: si tratta di pratiche educative che sono state messe in atto anche sul suolo italiano attraverso dei progetti come quello di Mamma lingua dell’associazione Nati per leggere che organizza incontri di lettura ad alta voce di racconti in molte lingue.
Al momento sto frequentando l’ultimo anno della magistrale in Interpretariato e Traduzione, ma spero poi di poter portare un presidio di Nati per leggere anche nel paese dove abito e partecipare in questo modo alla promozione di una sensibilità alla diversità culturale.
Com’è nata la tua passione per le lingue?
Il primo approccio con le lingue mi viene dalle ninnenanne che mi venivano cantate in francese e che stimolavano la mia fantasia intorno ad un mondo fatto di bambini che si davano la mano ed erano capaci di giocare e cantare insieme.
Attraverso i libri, ho scoperto i viaggi di Ulisse, quelli di Marco Polo e l’immensa diversità dei popoli descritti da Jules Verne. Grazie a queste letture, ho iniziato a immaginare un mondo dove ognuno poteva comunicare.
Nel corso della vita ho poi capito quanto fosse difficile questa comunicazione e che spesso da questa dipendeva la pace di un mondo diversificato. Con gli studi classici sono approdata alla conoscenza dell’uomo nella storia, fino a quando sono arrivata a voler approfondire con gli studi universitari le modalità con cui i popoli possono mettersi in comunicazione.
Raccontaci del tuo lavoro di volontariato con i bambini. Un episodio che ti ha colpito in particolare?
Molti bambini provengono da diverse parti del mondo per essere curati negli ospedali pediatrici italiani e altrettante sono le associazioni che si occupano dei bambini negli ospedali.
Per alcuni anni ho fatto parte dell’onlus Secicas e ho raccontato nei panni di Mary Poppins la favola della buonanotte ai bambini ricoverati.
La comunicazione non è sempre stata facile. Quando l’inglese e il francese non erano sufficienti, allora cercavo di costruire un ponte tra me e il bambino per cui oltre all’espressione del volto, ai gesti e alle modulazioni della voce, dall’altra parte c’era il desiderio di ricevere la favola.
In questo modo la fantasia e la volontà di godere di quel momento venivano maggiormente stimolate, nonostante le difficoltà linguistiche. Ogni volta era una comunicazione speciale.
Com’è stato il tirocinio alla Penny Wirton? Qual è stata la sfida più grande?
La Penny Wirton organizza corsi d’italiano per stranieri con una grande accoglienza e premura nei confronti degli utenti.
Ogni alunno ha un programma personalizzato, viene seguito singolarmente da un insegnante e le lezioni hanno lo scopo di stimolare gli studenti a muoversi in tutte le azioni della quotidianità, così da essere autonomi.
Nel periodo in cui ho intrapreso il tirocinio, ho conosciuto tanti studenti volenterosi e determinati a raggiungere i loro sogni: ricordo con piacere la signora ucraina che voleva aprire una sartoria, la mamma e la figlia brasiliane che si erano trasferite in Italia e l’ingegnere keniota che voleva imparare l’italiano per lavoro che, a volte, lasciava temporaneamente la lezione per andare a riprendere la figlia a scuola e tornare fiero con lei.
La sfida più grande per me è stata quella di seguire una signora del Mali analfabeta, mamma di una piccola bambina; con lei ho iniziato davvero dalle sillabe, ma il successo è arrivato quando ho conquistato la sua fiducia e allora ci sono stati anche i sorrisi.
Come mai hai deciso di studiare anche la LIS e la LSF? A quale livello sei? La usi anche nel tuo lavoro di volontariato?
Tutto parte dal progetto che avevo iniziato all’interno del gruppo Scout in cui sono cresciuta. Ho deciso di avvicinarmi a questo mondo quando, durante un evento ufficiale, ho ammirato con stupore un coro che segnava l’inno di Mameli.
Ho iniziato quindi a frequentare il CIS (Circolo per l’Integrazione dei Sordi) a Monterotondo, dove sono stata accolta con curiosità da parte degli utenti. Ho capito così che la sordità è la disabilità più meschina perché è visibile solo al momento della comunicazione e strappa via un bisogno primario dell’uomo che è quello di relazionarsi con gli altri.
Per poter contribuire all’obiettivo di una completa comunicazione, ho iniziato a studiare la LIS e a conoscerne la cultura. All’università ho avuto l’opportunità di seguire un corso base di questa lingua e spero in futuro di avere modo di avanzare di livello. Contemporaneamente ho imparato che ogni paese del mondo ha la sua propria Lingua dei Segni ed ho voluto scoprire le caratteristiche di quella francese, la LSF.
Per il momento, il mio obiettivo è quello di portare a termine nei tempi dovuti quest’ultimo anno di magistrale in Interpretariato e Traduzione, quindi ho dovuto riporre in un cassetto questi interessi che, sono sicura, faranno parte della mia vita e non resteranno dei sogni.
Come pensi di utilizzare il premio della Borsa di Studio Babbel?
Sono molto felice di aver vinto!
Impiegherò il premio della borsa per pagare la retta dell’università così da poter completare i miei studi e pesare meno sulla mia famiglia.