Vi è mai capitato di parlare con un romano e di non capire qualche parola misteriosa? È un’esperienza comune, del resto: il dialetto romanesco, pur essendo sostanzialmente una variante linguistica dell’italiano ha delle espressioni davvero curiose che sono a volte incomprensibili, per chi non ha mai abitato a Roma. Ci sono infatti dei modi di dire che conoscono più o meno tutti, e altri che sono note solo agli abitanti di una regione, o addirittura, di una città. Abbiamo quindi pensato di raccogliere più di 50 parole, espressioni e modi di dire romani che vi aiuteranno a cavarvela anche nelle situazioni più complicate. Ma prima di cominciare: che cos’è il dialetto romanesco?
Breve storia del dialetto romanesco
Il dialetto romanesco è una varietà linguistica parlata nella città di Roma e nelle aree circostanti. Le sue radici risalgono al latino volgare parlato nell’antica Roma, ma ha subìto numerose influenze nel corso dei secoli, evolvendosi in modo significativo. Durante il Medioevo, il romanesco ha assorbito elementi del dialetto toscano, in particolare fiorentino, a causa della centralità culturale e politica di Firenze. Questo processo di “fiorentinizzazione” è continuato con l’Unità d’Italia, quando il fiorentino è stato scelto come base per l’italiano standard.
Le caratteristiche del dialetto romanesco
Tra le caratteristiche principali del dialetto romanesco ci sono:
- il passaggio da /l/ a /r/ quando la /l/ è seguita da consonante (es. “alzare” diventa “arzare”, “dolce” diventa “dorce”;
- l’assimilazione di alcuni gruppi consonantici, come per esempio /nd/ (es. “quando” diventa “quanno”);
- il raddoppiamento della “b” e della “g” e a volte della “d” (es. “maggica”, per dire “magica”);
- il troncamento dei verbi all’infinito (es. “andare” diventa “annà”);
- l’utilizzo di -ne come rafforzativo per affermazioni e negazioni (es. “Hai portato giù la spazzatura?” “Sìne!”, come per dire “Certo che l’ho fatto, perché lo metti in dubbio?”).
Il dialetto romanesco si parla ancora?
Oggi il romanesco è meno diffuso rispetto al passato, soprattutto tra le giovani generazioni, ma continua a essere un elemento identitario molto forte per gli abitanti di Roma. La presenza del dialetto romano è ancora viva nella cultura popolare, nel cinema, nella musica e nella letteratura, dove viene spesso utilizzato per caratterizzare personaggi tipicamente romani. Ma un aspetto di questo dialetto difficilmente tramonterà: i modi di dire romani, che sono tra i più divertenti e particolari tra i modi di dire italiani. Ecco quindi quali sono i detti romaneschi da sapere, e qual è il loro significato!
I modi di dire romani da conoscere
A buffo
La parola buffo, in romano, non ha nulla a che fare con l’italiano. Non c’è molta chiarezza sull’etimologia di questa parola: secondo alcuni “buffo” è arrivato a Roma dal genovese o dal veneziano, per altri dal francese, per altri ancora replica il suono di qualcuno che sta gonfiando qualcosa. Il modo di dire “a buffo” vuol dire “a credito” (o “a rate”, facendo quindi i cosiddetti buffi; ci torniamo più tardi), anche se qualcuno lo usa al posto di “senza motivo”.
Abbozzà
Verbo fondamentale perché usato spessissimo: vuol dire “sopportare pazientemente, tollerare, subire passivamente”.
Accannà
i romani sono gente sbrigativa e mal sopportano chiacchiere a vuoto e lamentele. Se siete particolarmente verbosi, insomma, non sorprendetevi se vi verrà chiesto di “accannare”: vuol dire “smettere”.
Acchittasse
Vestirsi elegantemente, mettersi in ghingheri.
Adavede
Letteralmente significa “devi vedere”, in realtà viene usato per ribadire o confermare quello che è appena stato detto.
Aripijate
“Riprenditi, svegliati”: spesso indirizzato ai giocatori dell’AS Roma.
Arzà
Tra le parole romane, questo è un falso amico. O meglio, “alzare” ha due significati a Roma: lo stesso dell’italiano, ma anche “prestare”.
Avoja
L’espressione romana per eccellenza (o una delle), una parte integrante del dialetto romano che non può mancare in nessun dizionario. Avoja non ha un vero significato e traduce varie espressioni di conferma: certo, sì, assolutamente sì, un sacco, molto eccetera.
Boro
Sulla differenza tra coatti, bori e burini si potrebbe scrivere una tesi di laurea: ad ogni modo tutti questi termini indicano una persona poco elegante, tanto nel modo di vestire quanto in quello di esprimersi.
Caciara
Questo termine, al contrario di molti altri compresi in questa lista, è ormai diventato popolare al di fuori di Roma e molti ne avranno già indovinato il significato: “confusione, baccano”.
Corcà
Questo termine è uno dei più semplici da capire, perché va spesso di pari passo con botte: “l’hanno corcato de botte”. “Corcare” vuol dire infatti “picchiare”, “malmenare”.
Daje
Tra le espressioni romane, non può mancare il celeberrimo daje, che sta sulle magliette, sulle cartoline, sui muri, sui libri, sulle insegne dei negozi, dappertutto. Daje è molto banalmente la versione romana di dai! e può essere usato in qualsiasi contesto: per incitare, per incoraggiare, per prendere in giro, per ammonire, per esprimere gioia, per dare conferma eccetera eccetera.
Dasse
Cioè “darsi”. Non è chiaro? Beh, certo, in italiano la forma riflessiva del verbo “dare” viene usata per alcune espressioni idiomatiche (darsi delle arie, darsi pace ecc.) mentre a Roma darsi vuol dire “andarsene”.
Famo a capisse
“Facciamo a capirci”, ossia “intendiamoci”, una di quelle parole riempitive che potrete usare quando vorrete, sia per fare gli spiritosi, sia per minacciare velatamente qualcuno (senza esagerare, eh).
Gabbio
A Roma la galera si chiama anche gabbio e non è difficile immaginare il perché.
Imbruttì
No, non vuol dire letteralmente “rendere brutti”, almeno non a Roma. Quando si imbruttisce, nella Capitale, vuol dire che si guarda storto qualcuno. Per esempio se dite a un romano che la pizza romana non è la vera pizza, è molto probabile che verrete “imbruttiti”. È il prezzo da pagare per stare nel giusto, abbiate pazienza.
M’ha detto bene/male
La sentirete usare spessissimo e anche se il significato è intuibile, per chi non è di Roma la comprensione potrebbe non essere immediata. “Ti ha detto bene” vuol dire infatti “ti è andata bene” e ne esiste anche una versione meno elegante e, ovviamente, più efficace: “ti ha detto culo”.
Na cifra
Il corrispettivo romano di “molto”, “un sacco”.
Nasone
No, i nasoni a Roma non sono persone dotate di un naso “importante”, come si suol dire. Si tratta invece delle fontanelle di Roma, chiamate appunto “nasoni” dai romani per via della loro particolare forma, che ricorda quella di un lungo naso. I nasoni sono un simbolo della città e solo nel centro storico ce ne sono più di 200.
Ndo cojo cojo
Chi dice “ndo cojo cojo” sta dicendo che si accontenterà di quello che arriverà, perché “dove colgo, colgo”.
Nun t’aregge
Altra espressione di difficile decifrazione, per chi non abita a Roma: “nun t’aregge” vuol dire letteralmente “non ti regge”, ma anche così è difficile intuire il vero significato di questo modo di dire, vero? Nun t’aregge si dice a chi non ha il coraggio di far qualcosa, che sia dichiarare il proprio amore o affrontare il traffico sulla Casilina per andare a fare gli ultimi regali di Natale.
Pijottà
Meno celebre del termine “piotta”, “pijottà” è in ogni caso un verbo molto usato dai romani. Entrambe le parole hanno a che fare con il numero 100, questo è sicuro, sull’etimologia ci sono invece poche certezze. Luigi Matt dice che il termine “piotta” è entrato a far parte della quotidianità romana a partire della seconda metà del Novecento e che le prime tracce letterarie le si trovano in Pasolini, ma è difficile definire un quando e un come. Ad ogni modo, c’è poca discussione sul significato di pijottà, che vuol dire “andare velocemente”, “sbrigarsi” (letteralmente sarebbe “andare a 100 all’ora”).
Pilotto
“Pillottare” significa raccogliere il grasso dell’arrosto e versarcelo sopra com un attrezzo chiamato appunto “pillotto”. I romani hanno addottato il nome di questa pratica e risemantizzata a modo loro: “me sta a dà er pilotto” significa che qualcuno li sta tormentando con domande, richieste o lamentele continue.
Piotta
La piotta era in origine la moneta da 100 lire. Ora una piotta sono 100 euro (e mezza piotta sono 50).
Pipinara
Un conto è la caciara, un conto è la pipinara. La desinenza è simile perché simile è il significato, ma c’è una sostanziale differenza: la “pipinara” è infatti un assembramento di bambini chiassosi (sembra perché “pipino” vuol dire “pidocchio”).
Pischello
Tra i modi di dire romani è forse il più noto al di fuori di Roma, ma nel caso non lo sappiate il significato di “pischello” è “ragazzino.” La storia di questo termine è molto complessa, a partire dalla sua etimologia. Pasolini, in particolare, usava una sfumatura ben precisa di “pischello”, che secondo lo scrittore e regista di “Ragazzi di vita”, indicava ragazzi di strada, con un particolare stile di vita e modo di fare.
Piscià
Proprio come “arzà”, anche “piscià” ha un duplice significato, a Roma. Il primo è piuttosto intuitivo, il secondo per nulla: quando qualcuno “ti piscia” vuol dire che ti ha dato buca, che ti ha messo in disparte, oppure, nei casi più estremi, che ti ha lasciato.
Scapoccià
La capoccia è la testa e chi scapoccia sta perdendo la testa, cioè sta impazzendo.
Sderenato
Non è un termine prettamente romano, ma è davvero comunissimo e va per forza imparato. Chi è “sderenato” è esausto, sfinito fino ai reni.
Stacce
L’espressione romana che riassume, così come “eccallà”, il fatalismo dei certi romani, l’accettazione con un sorriso, spesso sardonico, delle sventure quotidiane. Hai perso l’83 e non arriverai in tempo per l’esame? Stacce. Hai giocato mezza piotta sulla vittoria della Roma ma una papera del portiere al novantacinquesimo ti ha fatto perdere tutto? Stacce. Dovevi prendere la metro ma un improvviso acquazzone ha fatto allagare tutte le stazioni? Stacce.
Stacce sotto
“Starci sotto”, in romano, significa fissarsi su qualcosa, che possa essere un hobby, una serie tv o la perfetta dizione in inglese dell’ex sindaca di Roma.
Tajasse
Tagliarsi è un altro di quei modi di dire romani che gli abitanti di Roma utilizzano con disinvoltura, pensando che chiunque li capisca. In realtà “tajasse” vuol dire “morire dalle risate”. È anche molto diffusa l’espressione “che tajo”, cioè “che bello”, “che divertimento”.
Zompà
E infine il verbo che si utilizza per dire di no a qualcosa: “io zompo” significa “io salto” (anche letteralmente). Molto utile quando non avete voglia di uscire né di dare troppe spiegazioni. Quando uno zompa, zompa.
I detti romaneschi più divertenti
A chi tocca nun se ‘ngrugna
La traduzione letterale è “A chi tocca, non se la prenda”, cioè “A chi càpita, càpita”.
Accollasse
Tra i detti romaneschi, non c’è espressione che riassuma meglio la filosofia del romano medio: accollasse significa “essere di peso”, “aggiungersi senza essere stato invitato/a” eccetera. Il verbo “accollare” viene anche usato in senso transitivo (“mi ha accollato sua sorella”) e viene anche sostantivizzato (“è proprio un accollo!”, che vuol dire “è proprio una scocciatura!”). A un accollo, in genere, si chiede di accannare.
Annà in puzza
Molti modi di dire romani sono semplicemente delle metafore e “annà in puzza” è tra questi: non vuol dire “cominciare a puzzare”, ma si usa piuttosto per quelle persone che cominciano ad irritarsi perché sbeffeggiate dagli altri.
Bajocchi
Non è questo il luogo per occuparsi di numismatica pontificia, ma “baiocchi” è un termine tutt’ora usato come sinonimo di “soldi”. Il motivo è che fino al diciannovesimo secolo, nello Stato della Chiesa, c’era una moneta che si chiamava proprio così: baiocco.
Battere i pezzi
Questa, tra le espressioni romane, è praticamente impossibile da decifrare. “Battere i pezzi” significa “corteggiare”, “provarci con qualcuno”, e nonostante molti romani siano convinti che sia perfettamente comprensibile al di fuori del Raccordo, per gran parte degli italiani questo modo di dire è incomprensibile.
Cecagna
Avete appena divorato un etto e mezzo di tonnarelli cacio e pepe, avete preso caffè e digestivo, ma le palpebre pian piano si stanno inesorabilmente abbassando: è la cecagna, cioè l’abbiocco che viene dopo il pasto, secondo i romani. Perché cecagna? Beh, avete appena chiuso gli occhi, quindi siete ciechi.
Dà i resti
Quando non so a chi dare i resti, significa che mi trovo nel bel mezzo di una questione spinosa e di difficile situazione, senza sapere quale decisione prendere. L’origine di questo modo di dire è molto affascinante: si riferisce infatti a quando i garzoni delle macellerie dovevano decidere a chi dare gli scarti della giornata. Questi garzono, che venivano accerchiati da mendicanti e povera gente, si trovavano nella spiacevole situazione di dover scegliere e quindi di “non sapere a chi dare i resti”.
De coccio
“Certo che sei de coccio, eh!”: se qualcuno vi si rivolge così, vuol dire che non avete capito nulla o che vi state intestardendo nel commettere lo stesso errore.
Eccallà
Un termine che forse appartiene ai più giovani ma che sentirete usare spessissimo. “Eccallà” vuol dire “eccola là” e si dice, in modo fatalistico (e a volte melodrammatico) quando succede qualcosa di spiacevole ma che avevate previsto, come per esempio quando la Lazio segna in contropiede dopo che la Roma ha preso il palo.
Fà er vento
Come altri detti romaneschi, “fà er vento” non è strettamente un’espressione romana e probabilmente molti parlanti del Centro Italia che conoscete la usano spesso (viene usato anche per i titoli dei giornali, per dire). Fare il vento significa “andarsene senza pagare”, solitamente da un bar e un ristorante.
Fà i buffi
Abbiamo detto più sopra che buffo è una parola molto importante a Roma e che la sua origine è misteriosa. E in effetti non è molto chiaro perché i “buffi” siano i debiti. Ad ogni modo, “fà i buffi”, fare i debiti, è una di quelle espressioni romane divertenti che sentirete spessissimo, anche perché viene spesso usata in tono scherzoso.
Figura da peracottaro
Il venditore di pere cotte, a Roma, non gode di molta stima. Il peracottaro infatti è colui che vende prodotti di bassa qualità ed è diventata la figura del mediocre per eccellenza, colui che colleziona figure meschine, passando per l’incapace, lo zimbello di turno.
Ingarellasse
In italiano “ingarellarsi”, ossia “mettersi in competizione”, viene usato principalmente per le corse clandestine in motocicletta, come notano D’Achille e Giovanardi. A Roma però, “ingarellasse”, non significa solo questo ma è un modo di dire che vuol dire più o meno “discutere appassionatamente sulla soluzione di un problema o di una questione in particolare”.
Limortaccitua/Limortaccivostra
Un’espressione che non ha bisogno di presentazioni, perché pur non essendo granché usata al di fuori del Lazio, è comunque molto frequente in tv, che sia uno sketch televisivo o una serie tv ambientata nella Città Eterna. “Limortaccitua” è una maledizione che si scaglia contro i parenti morti di qualcuno (“i morti tuoi/vostri”) e che viene declinata in modi molto creativi, tipo “limortanguerieri” e cioè “siano maledetti tutti i tuoi avi, fino ad arrivare alle generazioni degli antichi guerrieri”.
M’arimbarza
Ecco un altro modo di dire che riassume alla perfezione la filosofia del romano medio: la noncuranza verso le avversità, che in una città come Roma sono all’ordine del giorno. “M’arimbarza” vuol dire letteralmente “mi rimbalza (addosso)”, ossia “non mi fa né caldo né freddo”.
Mica piscio dal ginocchio
Se c’è una cosa in cui i romani sono imbattibili è la fantasia delle espressioni che usano. Raramente sono raffinate, ma non si può certo sostenere che non arrivino dritte al punto. “Mica piscio dal ginocchio” è l’esempio più calzante: questo modo di dire si riferisce ai calzoni corti al ginocchio portati dai bambini, i quali, quando non potevano più trattenere la pipì, se la facevano addosso e quindi “pisciavano dal ginocchio”. Quest’espressione quindi significa “non sono nato ieri”, “non sono uno sciocco/sprovveduto” ma è decisamente più pittoresca, no?
Sentirsela calla
Chi se la sente calda, in sostanza, si dà delle grandi arie, spesso senza un vero motivo.
Se semo visti
Il modo di congedarsi dei romani: “ci siamo visti” (c’è anche l’alternativa, “se o semo visto”). Se vi va, quando qualcuno vi dice “se semo visti” potete citare Valerio Mastandrea e rispondere con “Io nun t’ho visto. T’ho vissuto”. Più romani de così, se more.
Scrocchiazeppi
Scrocchiazeppi è una di quelle espressioni romane così divertenti che rendono questa parlata davvero unica: lo scrocchiazeppi è una persona particolarmente gracile, tanto magra da far scrocchiare le ossa come se fossero dei fuscelli, cioè gli zeppi.
Bonus: qual è la differenza tra “sticazzi” e “mecojoni”?
Infine, una piccola digressione su due modi di dire romani che sono molto utilizzati al di fuori di Roma, ma raramente nel modo giusto. “Sticazzi” è l’espressione romana del disinteresse: “non curiamoci troppo delle conseguenze” ma anche “non me ne importa nulla”. Il “mecojoni”, che tradotto letteralmente non significa quello che pensate ma “mi stai prendendo in giro”, viene utilizzato per esprimere sorpresa, anche in senso ironico. A volte “mecojoni” può essere usato al posto di “sticazzi”, quando la sorpresa è ironica e non vi importa nulla di quanto vi è appena stato detto, ma di certo non potrete usare lo “sticazzi” quando sarete genuinamente sorpresi di apprendere qualcosa. E ora non avete più scuse.
📸 Giovanni Paolo Panini, Galleria di vedute di Roma antica.