Illustrazione di Patrícia Mafra
Quando vi addentrerete nello studio di una lingua, arriverà il momento in cui scoprirete una parola e ve ne innamorerete. Di solito, questo succede quando quel particolare vocabolo non esiste nella vostra lingua e descrive un concetto particolarmente poetico o affascinante.
Tutto si riconduce all’aspetto culturale dell’apprendimento di una lingua straniera: i vari paesi del mondo hanno differenti necessità e, naturalmente, il linguaggio che usano riflette questi bisogni, emozioni, pensieri e sentimenti.
Oggi abbiamo deciso di focalizzarci sul modo in cui le diverse culture percepiscono i concetti di calma e relax. Per arricchire il vostro vocabolario, certo, ma anche per farvene capire meglio un ulteriore aspetto. Le parole elencate qui sotto, infatti, si collegano a diverse tradizioni: vi accorgerete che riescono a descrivere bene alcuni momenti che avrete certamente vissuto e per i quali non avete trovato la giusta parola nella vostra lingua.
Upekṣā (sanscrito)
Rimanere calmi sotto pressione è una caratteristica davvero utile e se esiste una categoria di persone che trasuda calma da tutti i pori, è certamente quella rappresentata dai monaci buddisti. La lingua utilizzata in tutti i canti buddisti, il sanscrito, è quella che infatti meglio descrive questo stato di calma mentale ed equilibrio tipici delle “Quattro nobili verità” che si trovano sul cammino per il raggiungimento della libertà. La parola “Upekṣā” traduce proprio questo stato – che può essere più o meno identificato con una forma di “compostezza” – che non ha nulla a che vedere con il nostro concetto di calma, come ad esempio quella che dobbiamo mantenere mentre parliamo in pubblico o quando la nostra squadra del cuore sta per tirare un rigore all’ultimo minuto della partita. Il concetto buddista di tranquillità si riferisce a quella pace interiore che non viene toccata dai fatti terreni e dalle emozioni. Nel caso dei monaci, è qualcosa che si ottiene dopo una vita di studio, esercizio e meditazione.
Dwaal (lingua afrikaans)
Esiste uno stato mentale di calma meno restrittivo e spesso non volontario che viene chiamato “dwaal” in lingua afrikaans. Il vocabolo si riferisce a quell’“assenza” mentale che segue un momento di confusione. Per spiegare il concetto con un’immagine reale, possiamo parlare di quella sensazione che ci prende dopo una notte insonne o dopo aver bevuto molto. I madrelingua inglesi che vivono in Sudafrica usano la stessa parola per definire qualcuno che non riesce a concentrarsi e sembra distratto.
Kukelure (norvegese)
Quelli che vivono in Norvegia hanno sempre la fortuna di potersi sedere ad ammirare un panorama splendido, perdendosi con il pensiero e svuotando la mente da stress e preoccupazioni. “Kukelure” descrive proprio lo stato mentale che si trova a metà tra il sogno a occhi aperti e il procrastinare, senza nient’altro da fare.
Seijaku (giapponese)
Il Wabi-sabi – ossia la visione estetica che descrive la bellezza come eternamente imperfetta e incompleta – ha plasmato nel corso dei secoli un elemento distintivo del modo di vivere e pensare giapponese. Per molti di noi la vita raramente rallenta e il wabi-sabi ha creato con questo scopo la parola “seijaku”, che indica una breve pausa nella giornata per rilassarsi. Attenzione però: non pensate all’allenamento buddista di cui vi parlavamo prima oppure a un rilassamento derivante da una vacanza sulla spiaggia. Questo è diverso: si tratta di prendersi qualche breve momento di riflessione prima di continuare con le normali occupazioni quotidiane.
Chouzourév̱o (greco)
Avete presente la soddisfazione di spegnere la sveglia nel momento in cui vi rendete conto che non c’è alcun motivo per uscire dal letto? I greci hanno una parola per descrivere questa particolare sensazione. “Chouzourév̱o” indica l’azione di spegnere la sveglia, girarsi dall’altra parte ed esserne estremamente compiaciuti.
Siesta (spagnolo)
Non tutte le culture possono prendersi il lusso di fare il sonnellino pomeridiano, ma quelle che lo fanno hanno una parola perfetta per descriverlo. Nel caso della “siesta” spagnola, la sensazione di abbiocco post-prandiale si accompagna alla pigrizia derivante dal clima caldo, che spinge a muoversi il meno possibile: se i raggi del sole sono implacabili, meglio chiudersi in casa a riposare.
Ayurnamat (inuktitut, lingua Inuit)
Il significato filosofico di “ayurnamat” si concretizza più o meno in quell’approccio pragmatico che dovremmo avere di fronte a eventi che non possono essere cambiati. Si compone della sensazione di conforto che abbiamo sapendo che non c’è bisogno di disperarsi a causa di situazioni che sfuggono al nostro controllo, mista a speranza perché le cose migliorino in futuro. Considerando il clima e l’ambiente in cui gli Inuit vivono, non ci si deve stupire se questa parola viene usata piuttosto frequentemente.