Illustrazione di Eleonora Antonioni
Quante volte i grandi classici della letteratura, che vi obbligavano a studiare a scuola, vi sono sembrati lontani dalla vostra quotidianità? Impenetrabili, irraggiungibili e, forse anche per questo, noiosi!
Tutto cambia però quando si accende la scintilla, quando si crea una connessione tra voi e lo stato d’animo del protagonista del libro che state leggendo. Sentite che potete mettervi nei suoi panni, perché finalmente riuscite a capirlo benissimo…quando sta soffrendo, quando è felice e quando ha fame.
Sì, non avete letto male. Quando ha fame, perché no?
Posso farvi un esempio che mi riguarda da vicino. Di uno dei miei esami di letteratura francese all’università, ricordo – anche con una certa apprensione – che quando arrivava il momento di aprire “Dalla parte di Swann”, facevo il tifo perché quella famosa madeleine inzuppata nel tè caldo non cadesse dentro la tazzina sbriciolandosi tutta.
“Ma perché non fa in fretta? Perché non si sbriga? Perché non smette di pensare al suo passato e mangia?” – avrei chiesto alla professoressa con fervore, se fossi stata sicura di non venire immediatamente bocciata.
Se c’è una cosa che mi irrita tantissimo, infatti, e che cerco di evitare con cura durante le mie colazioni, è quando il biscotto che ho in mano, spezzandosi, si tuffa nel latte per non fare più ritorno. Ed è innegabile che adesso, ogni volta che vedo quel dolcetto paglierino (che per ripicca non mangio), io pensi a Marcel Proust.
Questo è soltanto un aneddoto, ma lo sapevate che sono tanti i grandi scrittori che fanno assaggiare o cucinare i loro piatti preferiti ai protagonisti dei loro libri? Che ne dite di esplorarne insieme alcuni esempi, tratti dalla letteratura brasiliana?
La moqueca di Jorge Amado
Non saprei dire chi dei due sia più famoso: la moqueca o Jorge Amado. Sono entrambi originari della Bahia, uno stato che si trova a nord-est del Brasile, con capitale Salvador. Senz’altro una delle mete più gettonate dai turisti che vogliono stendersi su lunghe spiagge paradisiache o divertirsi durante il Carnevale.
La moqueca è un piatto caratteristico a base di:
- pesce;
- olio di dendê (ricavato dalla palma e tipico della gastronomia locale che, noto anche per i suoi effetti lassativi, viene spesso escluso dalla ricetta originale);
- pomodori, peperoni e cipolle;
- latte di cocco;
- coriandolo e spezie varie.
La pentola in cui viene cucinata è detta di “barro”: in passato fatta di argilla, ma oggi si trova in commercio anche di ceramica.
Jorge Amado è uno scrittore nato agli inizi del Novecento, autore di grandissimi classici della letteratura brasiliana, tra cui: “Capitani della spiaggia” (1937), “Gabriella garofano e cannella” (1958), “Dona Flor e i suoi due mariti” (1966).
E dunque qual è il legale tra il piatto e lo scrittore?
In tutti i libri di Jorge Amado si parla tantissimo di cucina e si mangia molto, perché il cibo locale è il mezzo che Jorge usa per condividere con il lettore la sua passione per le sue radici baiane.
Dona Flor, ad esempio, ha due mariti (uno morto, Vadinho; e uno vivo, il farmacista Teodoro, che l’ha presa in moglie una volta vedova) e una scuola di gastronomia. Sfogliando le pagine del libro, la si ritroverà tra le sue pentole intenta a preparare, tra le varie specialità, anche la moqueca di pesce e gamberetti.
Dicono i fan dello scrittore che le ricette riportate nei libri di Amado siano talmente dettagliate che, seguendole alla lettera, sia molto difficile sbagliarle. Insomma, se avete voglia di Brasile e siete lontani, Dona Flor sarà capace di guidarvi alla scoperta delle prelibatezze locali.
Il tacchino di Mário de Andrade
In Brasile, il piatto più natalizio, che di certo non può mancare sulle tavole bandite a festa, è il tacchino. Esistono davvero molti modi per prepararlo, ma voglio parlarvi di quello che lo scrittore Mário de Andrade descrive nel suo racconto “O peru de Natal” (ebbene sì, il tacchino qui si chiama proprio come l’omonimo paese sudamericano), pubblicato il 25 dicembre del 1949 dal Jornal da Tarde.
Mário de Andrade fu un poeta, musicologo, narratore, tra i fondatori del modernismo brasiliano del XX secolo. Insomma, un intellettuale a tutto tondo che, nella sua epoca, diede un contributo fondamentale per la formazione dell’identità artistica del paese.
Nel suo racconto, Juca, il protagonista, decide che, nonostante la recente morte del padre e il lutto che la famiglia sta ancora portando, sulla sua tavola quel Natale non sarebbe di certo mancato il famoso tacchino.
Le donne di casa, mamma, zia, sorella e la fidanzata Rose, all’inizio inorridite, si lasciano trasportare dal fascino degli odori e dei sapori del piatto ambito. E dei suoi accompagnamenti: farofa seca e farofa gorda (in italiano, rispettivamente, magra e grassa).
La farofa è una farina che accompagna la carne, ma non solo, e che generalmente contiene mandioca, che è un tubero nostrano, più altri ingredienti. Quella seca, nel racconto, è arricchita solo dal burro. Mentre quella gorda, che nello specifico avrebbe farcito il tacchino di Juca, si prepara con:
- farina di mandioca;
- prugne;
- noci;
- Sherry;
- viscere dell’animale (fegato, cuore, midollo).
Per far sì che tutti fossero ancora più felici e sentissero meno la nostalgia del defunto capo famiglia, Juca decide di comprare anche tanta birra. Estremamente ghiacciata. La bevanda preferita dalla madre.
La rosquinha di Clarice Lispector
Clarice Lispector è stata senz’altro una delle donne più affascinanti della letteratura brasiliana, nonostante per i non brasiliani si tratti di una lettura molto difficile: i suoi scritti sono stati paragonati a quelli di Virginia Woolf e di James Joyce.
Ne “L’ora della stella” (1977), il suo ultimo romanzo pubblicato postumo, la protagonista Macabea è una giovane ragazza molto povera che si è appena trasferita a Rio de Janeiro. I pochi soldi che ha in tasca le permettono di nutrirsi solo di hot dog.
Quando Gloria, una sua amica (che poi proprio tale non è, perché decide di soffiarle il fidanzato), la invita a bere un caffè e le è permesso fare incetta di dolci, Macabea, che non può credere ai suoi occhi, mangia tanto da stare male.
Tra le delizie descritte da Clarice, fa la sua comparsa in scena anche la famosa rosquinha, una specie di frittella di cui Macabea si riempie la bocca e le tasche. Esatto: se ne porta anche una scorta a casa.
La rosquinha si prepara con:
- farina;
- latte condensato;
- lievito;
- uova;
- zucchero.
Il tutto viene fritto in padella. La ricetta può essere personalizzata a piacere, l’importante è che non si perda la sua forma caratteristica di ciambellina con un buco in mezzo.
La cocada di Machado de Assis
Joaquim Maria Machado de Assis è un altro grande nome della letteratura brasiliana. Nato a Rio de Janeiro a fine Ottocento da una famiglia di umili origini, non rinuncia agli studi e scrive i suoi due grandi capolavori: “Memorie postume di Braz Cubas” (1881) e “Don Casmurro” (1899).
È in Don Casmurro che il protagonista Bentinho, innamorato di Capitu, si accorge di essere da lei ricambiato quando decide di annunciarle che sarebbe entrato in seminario. E lei, pur golosissima di dolci, non si accorge nemmeno dell’uomo che in quel momento le stava passando di fianco cercando di venderle una cocada. Capitu è triste, infatti. E Bentinho, che l’ha capito, ne compra una per lei.
La cocada, come il nome stesso suggerisce, è un dolce tipico a base di cocco. La ricetta oggi prevede l’utilizzo del latte condensato. Certamente, quella degustata da Bentinho e Capitu non lo conteneva (dato che all’epoca era difficile da trovare e davvero molto caro), ed era a base di:
- rapadura (zucchero di canna solidificato);
- latte;
- cocco.
Il segreto della popolarità di questo dolce probabilmente sta nella semplicità dei pochi ingredienti utilizzati. Sembra che lo stesso Machado de Assis ne fosse davvero molto ghiotto: la cocada infatti compare tra le pagine di molti dei suoi capolavori.
Anche voi amate leggere e cucinare? Vi sono venuti in mente altri libri in cui – tra le pagine – fanno capolino delle ricette che vi hanno causato una sottile o dirompente acquolina?