Tutti riusciamo a nominare almeno un artista o un gruppo musicale emblematico di un certo periodo o di una certa annata, vero? Ci sono i poeti della Beat Generation, i musicisti grunge con le camicie di flanella a quadri (un gruppo a caso: i Nirvana) e quelli che ci hanno fatto conoscere i sintetizzatori grazie a un genere che – in seguito – è stato ribattezzato “italodisco”. Sono stati definiti come le voci di un periodo storico, di una generazione o di un particolare movimento e cantarne le canzoni o recitarne i versi ci porta indietro nel tempo facendoci vivere un’atmosfera perduta.
Più difficile, forse, è individuare i personaggi cosiddetti trasversali cioè quelli che, per diversi motivi, sono riusciti ad abbattere i confini di una categoria e si sono espansi attraverso generazioni e periodi storici. Mi riferisco a tutti quegli artisti che vengono citati e presi come punto di riferimento nell’attualità, come se le loro opere fossero state create ieri e non trenta, quaranta, sessant’anni fa.
Volete qualche nome? I Beatles, Helmut Newton, Marina Abramović, Bob Dylan, Jacques Prévert, Edith Piaf e, per citare qualche connazionale, Adriano Celentano, Sophia Loren, Pier Paolo Pasolini e Fernanda Pivano (e naturalmente tanti tanti altri).
Si tratta di personaggi – di menti geniali! – che non solo hanno segnato la generazione nella quale sono vissuti (e quelle successive) ma sono arrivati addirittura ad influenzare aspetti che apparentemente esulavano dal loro campo, come il linguaggio ad esempio.
Vi è mai capitato di usare espressioni e modi di dire ignorandone l’origine? Avete mai chiamato il vostro amico Marcello urlando “Marcello! Marcello, come here!”? Avete mai recitato un appassionato “I ragazzi che si amano si baciano in piedi contro le porte della notte”, senza sapere che quei due innamorati non erano solo i protagonisti di una poesia inflazionata – specialmente il giorno di San Valentino – ma rappresentavano il simbolo della ribellione e della voglia di libertà dei giovani francesi del Secondo dopoguerra? (Beh, adesso lo sapete).
Lucio Battisti rientra a pieno merito nell’olimpo di questi artisti “totalizzanti”; grazie al suo talento, indubbiamente. Ma forse anche grazie al suo carattere schivo, che l’ha portato ad allontanarsi dalle scene fino alla sua morte avvenuta nel 1998. L’avrà fatto per avere più “carisma e sintomatico mistero” – tanto per continuare con le citazioni colte?
Quel che è certo è che le canzoni del musicista di Poggio Bustone vengono cantate, imparate (alzi la mano chi ancora ricorda il giro di accordi de “La canzone del sole”), e tramandate da genitori a figli, e i testi (composti per la maggior parte da Mogol – al secolo Giulio Rapetti) vengono scritti da decenni sulle Smemorande di tutti i ragazzi italiani e sono entrati a far parte di espressioni e modi di dire che pronunciamo tutti i giorni senza neanche rendercene conto.
Siete curiosi di scoprire quali?
Ecco una lista di versi senza tempo di canzoni di Lucio Battisti che tutti conosciamo e che a volte usiamo nella lingua parlata.
In questa canzone, Battisti e Mogol si interrogano sull’esito di una relazione amorosa che – pare – porterà all’altare. Si può sapere se finirà bene o male? Sposarsi sarà la scelta giusta? Non si sa, ovviamente. Non possiamo conoscere il futuro. E, come canta Battisti, “lo scopriremo solo vivendo”.
Un verso da usare con chi vi fa troppe domande di cui non potete conoscere la risposta.
Come suggerisce il titolo, la canzone descrive alcuni momenti di variabile intensità che provocano grande turbamento interiore nell’autore. Di cosa si tratta esattamente? Non si può spiegare in modo preciso. Sono forse queste le emozioni?
La frase “tu chiamale se vuoi emozioni” si può usare anche in altri contesti, quando non riuscite a spiegare in modo preciso un concetto.
Anche se – come succede per molti altri brani – si parla di un rapporto finito, riteniamo che questa sia una delle più belle frasi da usare in una qualsiasi dichiarazione d’amore. Siete d’accordo?
La fine di una relazione, si sa, spesso non è netta e definitiva. La storia raccontata da questa canzone vede due ex fidanzati incontrarsi per caso: non si sa come andrà a finire (“lo scopriremo solo vivendo”) ma quel che è certo è che la reazione iniziale di sorpresa non è delle migliori.
Una frase da usare per lanciare dei messaggi a qualcuno che non avete piacere di vedere.
Da qualcuno è stata definita come la più brutta lirica mai scritta nel mondo cantautorale italiano. Mogol si è giustificato, anni dopo la pubblicazione del singolo, dicendo di aver commesso un errore di distrazione poiché la sua idea originale prevedeva dei capelli “rosso rame” (in effetti… si è mai visto qualcuno coi dei capelli verde rame naturali?). Non conosceremo mai la verità su questo mistero tricologico. Si tratta sicuramente di una delle frasi passate alla storia per il suo nonsense.
Da usare per confondere i vostri interlocutori.
Non è tanto l’argomento della canzone in sé ad essere entrato nella storia (malgrado parlare di adulterio nel 1966 fosse ancora piuttosto rivoluzionario), quanto questo particolare verso che viene ripetuto, citato e cantato il 29 settembre di ogni anno. Vero che lo fate anche voi?
“Dieci ragazze”, forse una delle canzoni più ritmate della coppia Mogol-Battisti, racconta la storia infelice di un uomo che ama e non è riamato e che, con la speranza di dimenticare l’oggetto dei suoi desideri, si circonda di altre persone – le famose “dieci ragazze” – che però, a quanto pare, non lo amano quanto vorrebbe lui.
Una frase da usare la prossima volta che state per aprire Tinder.