Illustrazione di Zamir Bermeo
Avete mai provato a rubare un fulmine al vostro vicino di casa? E a pattinare su un panino di gamberi? Mi rendo conto, non sono azioni che riescono proprio tutti i giorni. Se non avete la più pallida idea del significato di questi modi di dire, state tranquilli, è normale. Infatti, questo è quello che succede quando si traducono in maniera letterale espressioni che appartengono ad altre lingue. Ed è proprio l’intraducibilità l’argomento che tratteremo in questa primissima puntata.
Tradurre è tradire, lo sappiamo. Basti pensare a certi titoli di libri o film: The Catcher in the Rye è passato alla storia come “Il Giovane Holden” e To Kill a Mockingbird è diventato “Il Buio Oltre la Siepe”. In certi casi, però, tradurre – anche stravolgendo la forma – è del tutto inutile, perché si tratta di espressioni che non hanno un corrispettivo linguistico nella lingua di destinazione e che non hanno neanche un corrispettivo culturale.
Le persone guardano il mondo con occhi diversi a seconda del luogo che abitano e conseguentemente della lingua che parlano. Senza semplificare un discorso assai complesso, possiamo provare a fare un esempio molto semplice. Una leggenda vuole che gli eschimesi abbiano più di 50 parole per indicare la neve, un elemento chiaramente fondamentale per la loro vita, al contrario delle popolazioni più “mediterranee”. Questo cosa ci dice? Che la loro percezione della neve – in teoria – è diversa, probabilmente perché per loro è più importante e ci stanno più a contatto. Anche se poi questa teoria è stata parzialmente smentita, è indubbio che il numero di termini per neve, ghiaccio e vento nelle lingue artiche sia vasto, ricco e complesso, come indica il linguista David Harrison nel suo libro The Last Speakers.
La lezione che possiamo imparare è che ogni popolo declina la sua lingua, a seconda delle sue necessità, delle sue priorità e dei suoi interessi. Le parole spesso riflettono, per ovvi motivi, delle caratteristiche del territorio e delle popolazioni d’origine. Caratteristiche che possono essere tradotte in maniera letterale, ma il cui significato non potrà mai rispecchiarsi fedelmente né attecchire in altre culture e lingue. Gli scozzesi hanno una parola per il pizzicorio che viene al labbro prima di bere whiskey. Molto più banalmente, gli svedesi hanno moltissimi detti che includono i gamberi. A proposito, l’espressione citata all’inizio “pattinare su un panino ai gamberi” indica la facilità con cui qualcuno è riuscito a conquistare una posizione di rilievo, mentre in inglese Steal someone’s thunder significa “rubare la scena”.
È chiaro che ciò che ci affascina di queste espressioni è proprio la loro intraducibilità. La lingua infatti non è soltanto un gioco combinatorio di cui ci serviamo per comunicare, non è soltanto uno strumento, ma è anche una sorta di incantesimo. Non è strano che Mago Merlino per fare le sue magie debba pronunciare “abracadabra”. Ricordate perché Ron non riesce a far volare la sua piuma? È “leviosa”. Non “leviosà”. Se non pronunci correttamente le parole, non succederà niente. Nessun segreto rivelato, nessuna magia compiuta.
A volte ci serviamo di parole straniere per comunicare concetti per cui in italiano avremmo bisogno di una perifrasi o di interi paragrafi. Sia perché in certi casi abbiamo bisogno di sintetizzare – ecco perché spesso si predilige l’uso di termini inglesi – sia perché usare una parola straniera e quindi sconosciuta ai più, ci rende custodi di un segreto. Non è un codice subito decifrabile, può essere il nostro “abracadabra”. Pensate a chi vuole farsi un tatuaggio per rappresentare un’esperienza: da un lato deve essere conciso (nessuno ha ancora deciso di occupare la propria schiena con lo “Zibaldone” di Leopardi), dall’altro vuole che il proprio tatuaggio sia originale, se non proprio unico, almeno limitatamente al proprio ambiente.
In altri casi, è proprio una questione meramente commerciale. Pensiamo alle ultime mode editoriali che vedono un florilegio di manuali intitolati Hygge, Lykke, Lagom, tutti termini presi in prestito dal Nord Europa o dal Giappone (Marie Kondo docet), legati alla vita domestica. Infatti, si ricollegano a un sentimento, a un’atmosfera sociale correlata al senso di comodità, sicurezza, accoglienza, familiarità ed equilibrio. Insomma, delle parole che riassumono degli stili di vita.
Naturalmente, la globalizzazione e il web hanno accelerato il diffondersi di conoscenze linguistiche e culturali di altri Paesi. Non è raro trovare sui social parole che sintetizzano delle abitudini familiari e che non trovano un corrispettivo nella nostra lingua. Alcune sono così belle e suonano così bene che sembrano dei termini venuti fuori direttamente da una poesia. Invece si tratta di parole quotidiane per altri popoli.
Celeberrima è la Saudade portoghese, che indica una sorta di struggimento per un ricordo e addirittura indicherebbe la nostalgia per il futuro o la malinconia per qualcosa che non si è vissuto.
Altrettanto famosa è la parola islandese Hoppipolla, che – diffusa grazie al gruppo dei Sigur Ros – descrive letteralmente l’azione di saltare nelle pozzanghere e di riflesso lo stato d’animo che ti spinge a giocare.
Chi di noi non conosce il significato della locuzione swahili Hakuna Matata? Senza pensieri la tua vita sarà – piccolo stop per non incorrere nell’infrazione di copywrite – chi vorrà vivrà in libertà… Hakuna matata! A proposito, sapete che la Disney è stata accusata di colonizzare un’espressione comune? C’è una petizione di più di 50mila firme che chiede al colosso mediatico di rinunciare al marchio; hakuna matata è stata infatti registrata e conseguentemente monetizzata in modo esclusivo dalla Disney.
Ma tornando in topic, forse vi è sfuggita la parola Tingo, che nella lingua pascuense indica la cattiva abitudine di rubare uno a uno gli oggetti di un vicino, chiedendoli in prestito e non restituendoli mai più. La parola forse non vi dice niente, ma sono sicura che il suo significato vi è familiare.
Se siete dei bibliofili come me, non vi è nuovo lo Tsùndoku, ovvero l’atto di accumulare libri in casa senza leggerli. Una parola giapponese che descrive bene sia l’abitudine di accatastare libri rimasti poi intonsi, sia il leggero senso di colpa che ne deriva. Ma sapete una cosa? YOLO. You only live once.
Ha destato parecchie risate poi il diffondersi della parola svedese Fika. Smettetela di fare i maliziosi, significa semplicemente “fare una pausa”; specialmente in ambito lavorativo, s’intende il rituale sociale del prendere un caffè insieme (o comunque una bevanda) e rilassarsi.
Simile è lo spagnolo Sobremesa, che indica la conversazione alla fine dei pasti. Insomma, il momento in cui si chiacchiera in attesa che qualcuno si alzi e sparecchi la tavola.
Mi diverte tantissimo invece la parola francese Nombrilisme. Nombril significa “ombelico”, quindi, se proprio volessimo tradurlo letteralmente, dovremmo farlo con “ombelichismo”. Ci aiuta il detto italiano “guardarsi l’ombelico”, che si avvicina al significato del sostantivo, ovvero “egocentrismo”, “egoismo”, “narcisismo”.
Abbiamo poi il romantico Wabi-sabi in giapponese (che significa “trovare la bellezza nell’imperfezione”) e il Tiam, che in Farsi indica il luccichio che c’è negli occhi di due innamorati che si guardano per la prima volta. Sempre parlando d’amore, se vi capiterà di trascorrere una vacanza in Iran, è possibile che qualcuno esprima la volontà di “mangiarvi il fegato”. Non spaventatevi, non vuole mangiarvi davvero, si è solamente preso una cotta per voi.
Infine, la Waldeinsamkeit, in tedesco, è la “solitudine della foresta”. Indica il trovarsi soli nei boschi e non poteva che diffondersi come motivo letterario nel periodo del Romanticismo.
Se quest’elenco non via ha soddisfatto, potete anche consultare Net Slov, il portale della parole intraducibili, disponibile per più di 60 lingue.
Se invece volete fare un regalo a qualche appassionato, vi consiglio caldamente i libri di Ella Frances Sanders, editi da Marcos y Marcos, che raccolgono parole e modi di dire intraducibili in altre lingue (e ci sono anche delle illustrazioni bellissime). Si chiamano Lost in Translation e Tagliare le Nuvole col Naso. A proposito, quest’ultimo titolo riprenderebbe un detto serbo che indica l’avere un’eccessiva considerazione di se stessi, talmente alta da raggiungere il cielo.
Ma in ogni Paese le metafore scelte per esprimere una situazione cambiano. “Avere i grilli per la testa” o “dare l’in bocca al lupo a qualcuno” sono prerogative dell’italiano. Secondo uno studio di qualche anno fa, condotto da 320 linguisti dall’azienda londinese Today Translations, la nostra lingua è la più romantica del mondo. Non è difficile crederlo, pensate che un’altra delle parole intraducibili di cui abbiamo tanto parlato oggi è “commuovere”, dal latino commovēre, “mettere in movimento”, “agitare”. Come se la commozione indicasse un rimestare dei sentimenti che gonfiano in noi fino a sgorgare in lacrime. Sì, non è difficile credere che la lingua italiana sia, per gli stranieri, estremamente attrattiva. E non è un caso che sia la quarta lingua più studiata al mondo.
Bene, siamo giunti alla conclusione della puntata. Abbiamo scalfito solo la punta dell’iceberg; sono davvero troppi i termini intraducibili e lo sanno bene i traduttori in ascolto che ogni giorno ci combattono. Speriamo comunque che questa piccola e non esaustiva disamina via abbia divertito.
Siamo abituati a studiare le lingue in maniera meccanica: un insieme di regole grammaticali e derivative su come si formano le parole: radici, desinenze, declinazioni e così via. Però, a volte, è bene ricordarsi quanto c’è di fantasioso e indecifrabile nella creazione di suoni così singolari e qualche volta anche stonati. Come abbiamo visto, la lingua è capace di dipingere immagini bislacche, storie improbabili che, per quanto strane, attecchiscono e vanno ad arricchire il nostro bagaglio culturale, nonostante il trascorrere del tempo e delle generazioni.
FONTI:
Storie di titoli tradotti o traditi
30 parole assurde intraducibili in altre lingue
10 termini italiani intraducibili in inglese
Quante parole usano davvero gli eschimesi per la neve?
Il potere morbido della lingua italiana
Hygge? Lykke? Lagom? Huh? The language of life advice
Hakuna Matata: una petizione contro la Disney che lo registrò come un marchio