La Linguacciuta: il bilinguismo nella buona e nella cattiva sorte – 2° episodio

Cosa significa essere bilingue? Bilingue si nasce o si diventa? Il bilinguismo comporta più vantaggi o svantaggi? Nella seconda puntata de “La Linguacciuta”, Ilenia Zodiaco ha risposto a queste domande e non solo.
La linguacciuta - secondo episodio

Sono tanti i momenti in cui ho desiderato essere bilingue, ma mai quanto in situazioni sociali spiacevoli e imbarazzanti con degli estranei: avete presente le monotone attese in coda alle poste o le feste assai mosce alle quali siete andate solo per il tizio che poi si bacia un’altra? Ecco, quanto avrei voluto mettermi al telefono per parlar male di tutti gli astanti in turco!

Probabilmente già sapete che imparare qualcosa da bambini vi riuscirà meglio (infinitamente meglio) che impararlo da adulti. Questo dipende dalla plasticità del nostro cervello, che nell’infanzia è maggiore: la mente è più ricettiva agli stimoli, ma soprattutto – aggiungerei – si ha più tempo per fare le cose perché non si deve lavorare. Per tutti questi motivi, spesso è consigliato imparare a parlare una seconda lingua già da piccolissimi, tra i 3 e i 6 anni, meglio ancora se da genitori madrelingua. Spesso, infatti, si parla dei vantaggi del bilinguismo. Dopo una fase iniziale in cui si credeva che i bambini bilingui crescessero più confusi che persuasi e addirittura che fossero più soggetti a balbuzie, depressione e schizofrenia, il bilinguismo è stato poi sdoganato come metodo per fabbricare bambini “supercervelloni”, dotati di abilità cognitive fuori dal normale. Insomma, da un estremo all’altro.

Diciamo che la verità sta nel mezzo. Infatti, il bilinguismo comporta sia vantaggi che svantaggi. In particolare, la studiosa Angela De Bruin ha setacciato le tantissime ricerche svolte sull’argomento e, mettendo insieme i dati, ha confutato parecchi falsi miti sul bilinguismo, come il multitasking (che non esiste) e le maggiori capacità di mantenere alta l’attenzione e di esercitare un controllo esecutivo. Piuttosto, il bilinguismo aiuterebbe a mantenere il cervello in salute e a diminuire il rischio di demenza senile. Il bilinguismo, quindi, avrebbe una sorta di effetto protettivo contro il declino cognitivo. Un altro vantaggio è di tipo economico, visto che di solito chi parla più lingue ha più probabilità di essere assunto e di guadagnare di più, ma, come sapete, in questa economia nulla è più certo.

D’altra parte però, il bilinguismo comporta anche degli svantaggi: un bilingue può sembrare molto fluente in maniera del tutto equivalente a un monolingue, ma diversi test dimostrano che non è mai così, nemmeno nella lingua dominante. Pare infatti che i bilingui abbiano un vocabolario meno ampio, siano meno veloci nel trovare le parole giuste e abbiano interferenze tra le diverse lingue che parlano. Insomma, un bilingue non gestisce entrambe le lingue esattamente come un monolingue gestisce la sua sola linguaNon si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, direbbero in molti (ma forse sta solo parlando l’invidia).

Finora comunque abbiamo parlato di bilinguismo includendo nella definizione soltanto i parlanti che sono stati sottoposti all’apprendimento linguistico di una seconda lingua in età puerile. Questa, effettivamente, è la definizione più diffusa di bilinguismo, eppure sappiamo che oggi, nell’era della comunicazione senza confini e dei viaggi intorno al mondo, sempre più persone ritengono obsoleto limitarsi a una sola lingua e decidono di impararne sia durante gli studi, sia da adulti, con risultati eccellenti. Quindi, state tranquilli, anche se non avete avuto modo di crescere con padre vulcaniano e madre xandariana, avete qualche chance di “diventare” bilingue.  

Secondo la mia esperienza, di solito c’è una sorta di reticenza nel definirsi bilingue da parte di coloro che parlano fluentemente due o anche più lingue in età adulta. Come se ci fosse una sorta di mito del bambino bilingue, come se quello che s’impara da grandi valesse di meno, come se si fosse parlanti di serie b. Anche se abbiamo già spiegato i motivi per cui apprendere una lingua precocemente ha molti vantaggi, questo non significa che non  si possa “recuperare” successivamente, con la giusta dose di impegno e studio.

Sul fatto che comunque non sia facile dare una definizione perfetta di bilinguismo, siamo tutti d’accordo. Cosa vuol dire essere bilingue? Pensare in quella determinata lingua? Sognare in quella determinata lingua? Dire parolacce? Possedere un bagaglio lessicale? E di quante parole esattamente? D’altra parte, pensare al nostro cervello come un contenitore sarebbe sbagliato. Non dovrebbe esserci un limite massimo di parole da possedere. Un altro aspetto da considerare è quello culturale. Avere due o più modi di descrivere il mondo porta con sé una visione più ampia e più ricca di sfumature? Non è così scontato che il bilinguismo implichi un multiculturalismo, anche perché spesso si impara una seconda lingua al di fuori del contesto socioculturale del Paese d’origine.

Per appagare le nostre curiosità sul bilinguismo, ho deciso di fare qualche domanda alla mia amica Valentina, nata in Croazia, ma vissuta in Italia e per qualche tempo anche in Australia.

Prima di tutto, quante lingue parli? 

Tre: italiano, croato e inglese. E ho studiato anche un po’ di tedesco.

Quanto tempo ci hai messo a imparare le due lingue? Ne eri consapevole o eri troppo piccola?

Siccome sono nata in Croazia, ho imparato prima il croato. Quando ho iniziato l’asilo in Italia, a 5 anni, ricordo di essermi resa conto di essere circondata da persone che parlavano un’altra lingua e di averla piano piano imparata. È stato tutto molto naturale.

Cosa significa essere bilingue? Ti senti bilingue?

Sì, mi sento bilingue: penso principalmente in italiano, ma a volte anche in croato e in inglese, soprattutto per quanto riguarda alcune espressioni di film e serie tv. Essere bilingue significa saper adattare concetti di una cultura ad un’altra, conoscere più modi di dire, azioni, sentimenti ed emozioni ed essere quindi, in un certo senso, più ricchi.

Senti più tuo il croato o l’italiano?

Non padroneggio il croato allo stesso livello dell’italiano, che parlo molto meglio, perché è la lingua con cui sono cresciuta, con cui ho studiato e con cui lavoro. Credo che avere un’assoluta parità di padronanza di più lingue richieda molto studio e un impegno notevole.

Inoltre, in italiano sono molto più sarcastica, grazie a un bagaglio di espressioni che cerco di tradurre in croato, ma che non hanno lo stesso effetto.

Ti ha aiutato essere bilingue nell’imparare altre lingue? Visto che l’inglese è venuto dopo, pensi di parlarlo con meno padronanza?

Essere bilingue mi ha sicuramente aiutata tantissimo con le altre lingue, soprattutto con l’inglese. L’italiano ha una struttura molto complicata, mentre il croato prevede, ad esempio, le declinazioni. L’inglese rispetto a queste due lingue è molto semplice e mi ha aiutato molto anche essere stata in Australia. Il croato mi ha aiutato anche per la pronuncia e le declinazioni del tedesco, la cui logica non mi era completamente nuova.

La difficoltà più grande dell’essere bilingue?

Riuscire ad esprimere determinati concetti, con la loro incisività, il loro peso, la loro leggerezza e le loro sfumature. Tradotti non hanno lo stesso impatto.

Ci sono delle parole che rimpiangi dal croato e vorresti portare nell’italiano corrente? E parole croate che vorresti usare ma non puoi in italiano e viceversa?

Banalmente, gli insulti, che non sono solo un luogo comune, bensì una rappresentazione di come una cultura si pone nei confronti del prossimo. Scherzi a parte, termini tipici del croato sono kum kuma, che in italiano si traducono sia come “padrino” e “madrina”, sia come “testimone di nozze”, mentre in croato abbiamo un’unica parola e un unico riferimento in famiglia, che corrisponde a quella figura nota in italiano come “zio/zia” anche se il legame non è di sangue. Un altro esempio è silazi, letteralmente “scendere” (quando sei su qualcosa), ma in senso figurato “levati”, “mollami”, “lasciami stare” (solo in determinati contesti). Dell’italiano mi mancano soprattutto le espressioni dialettali e sarcastiche come “ma va”, “va’ là”, “giura”.

Quanto è utile essere bilingue (a parte per scagliare frecciatine e maldicenze senza che gli altri se ne accorgano)?

Sinceramente, ci tengo che le persone a cui rivolgo insulti, li capiscano. Ma il bilinguismo è utile in momenti di stress; aiuta a isolarsi, soprattutto per quanto riguarda il croato, perché pochi lo parlano. È come una nicchia, uno spazio sicuro in cui nessuno può capire, ma è comunque possibile esprimersi per sfogare emozioni e pensieri e quindi per allentare la tensione.

Insulti, frecciatine e maldicenze aiutano anche a passare velocemente da una lingua all’altra senza troppa difficoltà, meccanismo invece non immediato per persone non bilingui.

FONTI:

Alcune cose che non sapevate sul cervello bilingue

I dolori di un giovane bilingue

Is bilingualism really an advantage?

Evidence for bilingual advantage may be less conclusive than previously thought

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