Da quando gli Aztechi lo hanno battezzato “testicolo” a quando è diventato il simbolo degli eccessi dei millennial negli anni dieci del 2000, l’avocado ha fatto tanta strada e, nel frattempo, ha perduto il suo significato letterale. Nel grande racconto della storia dell’avocado, che potrebbe sembrare un semplice resoconto di come un frutto si è trasformato in un prodotto consumato su scala globale, c’è anche una sezione dedicata alle varie fortune che hanno portato al suo successo.
C’è una costante, in ogni caso: nel corso del tempo, sono diverse le culture che hanno eletto l’avocado a simbolo di ricchezza e abbondanza. Questa percezione non era necessariamente legata al prezzo a cui veniva venduto. Ecco quindi la storia su come l’avocado si è conquistato un posto nei burrito e nei cuori di tutto il mondo.
La storia dell’avocado: gli albori
Non si sa con certezza quando o dove l’avocado abbia avuto origine, ma le condizioni favorevoli per la coltivazione di questo frutto erano già presenti nel 16.000 a.C. Una teoria sostiene che l’avocado abbia avuto origine in Africa e sia arrivato solo più tardi in America centrale.
Un’altra teoria, invece, afferma che abbia avuto origine nella parte centro-meridionale del Messico. È probabile che si sia poi diffuso grazie ai mammut preistorici, che si cibavano del frutto intero e poi ne evacuavano i semi dopo aver coperto grandi distanze.
Indipendentemente dal luogo in cui il frutto ha avuto origine, è abbastanza chiaro che la sua coltivazione da parte degli umani è iniziata in Messico e in America centrale. Qui, è entrato a far parte delle tradizioni di civiltà precolombiane come quella di Caral, quella Mokaya o dei Maya.
A quanto pare, questo frutto ha sempre avuto un ruolo simbolico molto spiccato. Il quattordicesimo mese del calendario Maya era rappresentato dal glifo dell’avocado; in più, il frutto è apparso nei dipinti degli Aztechi e sulle tombe dei Maya.
In Perù sono state trovate prove dell’esistenza di colture addomesticate di avocado risalenti al 750 a.C. Nel 500 a.C., l’avocado era già noto agli Aztechi come ahuacatl; si trattava, di fatto, della parola in lingua Nahuatl per “testicolo”; evidentemente un modo di alludere al fatto che gli avocado crescono in coppia e che fossero ritenuti afrodisiaci o fonte di forza e/o fertilità per chi se ne cibava.
Non solo l’avocado era un’importante fonte di sostentamento per le civiltà indigene mesoamericane, ma si credeva anche che avesse poteri speciali.
L’avocado e la California
Quando i colonizzatori spagnoli arrivarono nel continente, adattarono il nome del frutto, trasformandolo in aguacate, che per loro era più facile da pronunciare. A questo punto, l’avocado aveva preso piede sia in America centrale sia in alcune zone del Sudamerica e gli spagnoli iniziarono a esportarlo anche in Europa.
La prima traccia scritta della versione inglese della parola “avocado” risale al 1696. A quanto pare, agli inglesi piaceva il nome avocado pear (“pera avocado”) e, a causa del suo aspetto, chiamavano il frutto anche alligator pear (“pera alligatore”).
La sua coltivazione è stata poi introdotta in Indonesia, Brasile, nel Levante (un’ampia area del Medio Oriente), in Sudafrica, Australia e, soprattutto, in California, nel corso del diciannovesimo secolo.
Quando arrivò in California, i coltivatori decisero che era arrivato il momento di effettuare un’operazione di rebranding e che le allusioni ai testicoli e agli alligatori non erano particolarmente attraenti, così optarono semplicemente per il nome “avocado”. In questo periodo la California Avocado Society iniziò anche a pubblicizzare l’avocado in riviste come The New Yorker o Vogue, presentandolo come “l’aristocratico dei frutti da insalata.”
È quasi sicuramente in questo periodo che l’avocado ha iniziato a imprimersi nell’immaginario collettivo come un cibo di lusso; un’interessante distorsione della percezione del frutto presso le società indigene, che lo consideravano una fonte di forza e fertilità.
La storia dell’avocado Hass
Nel 1926, Rudolph Hass comprò alcune piantine e iniziò a coltivare alberi di avocado a casa sua, nella Contea di Los Angeles. Quasi per sbaglio, e in seguito ad alcuni esperimenti che aveva condotto per innestare un’altra varietà esistente su quella che aveva, un albero abbandonato a se stesso iniziò a produrre avocado che avevano un sapore unico. I figli di Hass notarono quanto fossero buoni i frutti di quell’albero e così lui iniziò a coltivarne altri.
La varietà di avocado Hass, che presenta una buccia rugosa e nera, era diversa da quella allora prevalente (la Fuerte), che invece presenta una buccia liscia e verde. Si scoprì inoltre che la varietà Hass si riproduceva con maggiore facilità, aveva un periodo di raccolta più lungo e poteva iniziare a produrre una buona quantità di frutti a partire dal secondo o terzo anno. La buccia più spessa rendeva inoltre il frutto più resistente durante i lunghi viaggi necessari per le spedizioni.
In molti sensi, l’invenzione della varietà Hass è stata la chiave di volta nella storia dell’avocado o quanto meno una pietra miliare sulla strada che lo ha portato al successo a livello globale. Nel 1935 Rudolph Hass brevettò questa varietà, che, verso la fine degli anni ‘70, divenne quella prevalente in California.
Oggi, la California è il più grande produttore di avocado negli Stati Uniti e contribuisce alla produzione nazionale con un ammontare che si aggira attorno al 90%. Circa il 95% degli avocado che crescono in California, e l’80% degli avocado che vengono consumati nel mondo, sono avocado Hass.
La storia dell’avocado: lo sbarco in Italia
E in Italia? Si narra che la prima persona a tentare l’introduzione dell’avocado in Italia fu Mario Calvino, padre di Italo, un botanico molto noto che era sempre alla ricerca di piante esotiche che potessero adattarsi al clima di Sanremo, in Liguria.
Oggi la produzione di avocado nel nostro paese si svolge al Sud, in particolar modo in Sicilia. Essendo una pianta molto delicata, che mal sopporta le gelate e ha bisogno di moltissima acqua, la sua coltivazione non è affatto semplice.
Avocado multiuso: dai toast alle tazze
Negli Stati Uniti, l’avocado ha iniziato a guadagnare popolarità al di fuori della California, della Florida e delle Hawaii alla fine del ventesimo secolo: si stavano creando le condizioni per il boom che sarebbe seguito negli anni zero e dieci del 2000.
Secondo l’Hass Avocado Board, tra il 2000 e il 2015, il numero di avocado venduti negli Stati Uniti è quadruplicato. Uno dei motivi per cui è successo? Nel corso degli anni ‘90, i coltivatori di avocado hanno promosso il guacamole come lo snack da mangiare la domenica del Super Bowl, la finale del campionato di football americano.
In ogni caso, ci sarebbe stata a breve un’ulteriore svolta nella storia dell’avocado. Il sapore dell’avocado, burroso e dal sentore di noci, ha fatto sì che venisse presto usato non solo per accompagnare gli amati piatti tipici messicani, ma anche come ingrediente per insalate, nei condimenti, negli smoothie, nei dessert, nei gelati e come sostituto vegano al posto del burro.
L’avocado come simbolo dell’eccesso
Nel 2017 un bar australiano ha iniziato a servire latte macchiato all’interno della buccia di avocado: un momento che ha probabilmente segnato il picco della avocado-mania. E anche grazie al grande contributo di Gwyneth Paltrow, l’avocado toast è diventato incredibilmente di tendenza negli anni dieci del 2000.
L’avocado è anche diventato un’ironica spiegazione del perché la generazione dei millennial non poteva permettersi di acquistare una casa e, per estensione, un simbolo dello scontro generazionale tra millennial e boomer. Qualche anno fa, per esempio, il milionario Tim Gurner disse: “Quando stavo cercando di comprare la mia prima casa, non compravo purè di avocado per 19$ e quattro caffè a 4$ l’uno”.
La dichiarazione suscitò molto scalpore, ma l’avocado era già diventato da un po’ non solo un simbolo di ricchezza e licenziosità gastronomica, ma anche di eccesso.
L’industria globale dell’avocado, per dire, si è espansa al punto da costituire un serio pericolo in Messico per quanto riguarda la deforestazione, in particolare nei casi in cui gli alberi di avocado selvatici vengono tagliati per fare spazio agli alberi della varietà Hass.
Anche se la varietà Hass è chiaramente più adatta a rifornire il mercato globale, la mancanza di varietà genetica rende le coltivazioni più vulnerabili nei confronti di parassiti e malattie. Per non citare l’enorme quantità d’acqua necessaria per la coltivazione degli alberi di avocado.
Nonostante, non sia esattamente ben visto dal punto di vista ambientale, è fuori di dubbio che uno degli aspetti più affascinanti della storia dell’avocado sia il modo in cui questo frutto è riuscito a entrare nell’immaginario di così tante culture diverse. Nel corso dei secoli e in varie parti del mondo, chi ha conosciuto l’avocado se ne è automaticamente innamorato.
Questo articolo è apparso originariamente nell’edizione inglese di Babbel Magazine.