Siamo d’accordo che i film ricalcano la vita reale. È vero anche che la vita reale evoca spesso le scene di un film. Diciamo che i due ambiti sono permeabili e che l’uno tende all’altro per essere interpretato e per guadagnare senso.
Ma non raccontiamo solo ciò che siamo, e siamo ciò che raccontiamo – non è una supercazzola (se ne parla sotto) – ma diventiamo ciò che raccontiamo.
Ed ecco che nella parlata quotidiana capita di usare espressioni o battute cinematografiche che in qualche modo si sono fissate nella memoria linguistica collettiva. E quindi ci viene più facile usare le parole di qualcun altro (di attori in questo caso) per esprimere un concetto o commentare una situazione.
Ecco quindi una lista di 10 citazioni celebri (da film italiani) entrate nel linguaggio comune.
“E io pago!”
A dirla è Totò nelle vesti del barone Antonio Peletti nel film “47 morto che parla” del 1950. Totò interpreta un avido barone che vuole intascarsi un’eredità che non gli spetta. Universalmente usata da chi si ritrova sempre a tirar fuori il portafogli.
Barone: “Gastone! Gastone! Dov’è mio figlio?”
Maggiordomo: “È uscito presto stamattina…”
Barone: “Sempre per la strada a consumare le scarpe, quel pelandrone… E io pago!”
“Alla faccia del bicarbonato di sodio!”
Ancora Totò, questa volta nei panni di Antonio Sapone in “Totò sceicco” del 1950. La battuta è pronunciata quando la regina Antinea (Tamara Lees) scopre il volto da una maschera indossata per evitare infatuazioni. Questa espressione diventa un’espressione di stupore, di sorpresa rispetto qualcosa di inaspettato.
Antinea: “Vuoi vedere il mio volto?”
(…)
“Te ne pentirai!”
[La regina cala la maschera]
Antonio: “Aaaaah! Alla faccia del bicarbonato di sodio!”
“Io so’ io e voi non siete un cazzo”
Questa volta è Alberto Sordi il protagonista. Il film è “Il marchese del Grillo” del 1981 di Mario Monicelli. Grazie al suo rango, il marchese Onofrio del Grillo evita l’arresto in seguito a una rissa in una taverna. Prima di salire sulla carrozza si gira verso chi, invece, pagherà:
– Mi dispiace… ma io so’ io e voi non siete un cazzo!
La “supercazzola”
Ancora un film di Mario Monicelli, “Amici miei” del 1975. Questa volta la battuta, che è ripetuta in varie salse in più punti del film, è di Ugo Tognazzi che interpreta il Conte Lello Mascetti, qui alle prese con un vigile che vuole multare gli amici ad attenderlo in auto.
Lello: “Tarapìa e tapiòco, prematurata la supercazzola o scherziamo?”
Vigile: “Prego?”
Lello: “No mi permetta… no io, eh… scusi, noi siamo in quattro… come se fosse antani anche per lei o soltanto in due, oppure in quattro anche scribacchi confaldina, come antifurto per esempio.”
Oggi, espressioni ingarbugliate a sentirsi ma che significano poco o nulla possono essere definite “supercazzole”. Come se fosse antani con scappellamento a destra, naturalmente.
“… è una cagata pazzesca!”
Immancabile l’ingegner Ugo Fantozzi ne “Il secondo tragico Fantozzi” (1976), esasperato dalle ripetute visioni de “La corazzata Potëmkin” durante le serate cinematografiche aziendali. Finito il film, consueto dibattito, prende la parola e scatena l’ovazione dei presenti:
– Per me, la corazzata Potëmkin, è una cagata pazzesca!
Nella parlata quotidiana resta la più generica “è una cagata pazzesca”. Così, contrarietà ed esasperazione trovano giusto sfogo.
“Chi siete? Cosa fate? Cosa portate? Sì ma quanti siete? Un fiorino!”
Il film è “Non ci resta che piangere” del 1984. Roberto Benigni e Massimo Troisi sono Saverio e Mario, un insegnante e un bidello. Dopo una notte in una locanda si risvegliano nella Toscana del XV secolo. La scena in cui viene recitata la battuta li vede attraversare la dogana:
Doganiere: “Eh! Chi siete?”
Mario: “Siamo due che…”
Doganiere: “Cosa fate? Cosa portate?”
Mario: “Niente, roba…”
Doganiere: “Sì ma quanti siete?”
Mario: “Due, siamo io e lui…”
Doganiere: “Un fiorino!”
“Continuiamo così, facciamoci del male”
Nanni Moretti, un altro attore che ha saputo spesso costruire (su di sé) una specie di tipo umano all’interno dei suoi film. La battuta viene da “Bianca”, film del 1984. Michele (Moretti) è a tavola con un’amica e i genitori di lei.
Michele: “Il Montblanc si regge su un equilibrio delicato, non è come la sachertorte.”
Padre di lei: “Cosa?”
Michele: “La sachertorte…”
Padre di lei: “Cos’è?”
Michele: “Cioè, lei praticamente non ha mai assaggiato la sachertorte…”
Padre di lei: “No.”
Michele: “Va bene. Continuiamo così, facciamoci del male!”
“Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose”
Anche qui l’abitudine linguistica ha ristretto a un più conciso “vedo gente, faccio cose”. Questa battuta di Nanni Moretti si trova in Ecce bombo del 1978. Moretti è Michele, siede su un prato e parla con una ragazza:
Lui: “Concretamente, che lavoro fai?”
Lei: “Nulla di preciso…”
Lui: “Va beh, come campi?”
Lei: “Mah, te l’ho detto… giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose.”
“Il mio falegname con trentamila lire la fa meglio”
Evergreen per ogni situazione in cui la necessità è demistificare il valore economico di qualcosa che si reputi eccessivamente costoso. Il “Garpez”, la scultura di una gamba in “Tre uomini e una gamba” di Aldo Giovanni e Giacomo, ad esempio.
Giovanni: “Scusate ma, 170 milioni per sta merdina qua? Ma dai, è una follia!”
Giacomo: “Ma che follia, che follia! Ma lo sai che questo qui è un Garpez? Uno dei più grandi scultori viventi, eh?”
Giovanni: “Ma scultore che cosa! Guarda che il mio falegname con trentamila lire la fa meglio! Va’, non ha neanche le unghie.”
“Buongiorno principessa!”
Da “La vita è bella” di Roberto Benigni, altro must have nel bagaglio formulaico dei buongiorni d’amore e d’affetto.