Sono le 8 di mattina, andate al bar e ordinate il solito. Che naturalmente è “cappuccino e cornetto”, giusto? No? Se siete del nord Italia, il cornetto per voi è probabilmente qualcos’altro, mentre quando uscite a fare colazione ordinate una “brioche”, vero? Ma guai a ordinare una “brioche” o, peggio ancora, un “croissant” a Roma o a Palermo perché, nel migliore dei casi, vi verrà lanciata uno sguardo misto di indignazione e smarrimento. Non c’è nulla di strano, in realtà, perché l’italiano è pieno zeppo di quelli che si chiamano “geosinonimi”, ovvero parole diverse che a seconda della regione indicano la stessa cosa. Quello dei geosinonimi è un fenomeno linguistico diatopico, che riguarda cioè le variazioni di una lingua a seconda dello spazio.
I geosinonimi danno origine a divertenti malintesi e a infinite discussioni sui social media (un tormentone su Twitter, per esempio, è il “e voi come lo/la chiamate questa?”, con una foto dell’oggetto in questione) e molto spesso non siamo nemmeno consapevoli della loro esistenza. Ma di esempi, come detto, ce ne sono tantissimi: ecco quelli più comuni.
I geosinonimi nel cibo
Cornetto o brioche
La regina di tutte le dispute. Quello che gran parte della gente prende al bar, quel dolce lievitato a forma di mezzaluna che può essere vuoto o farcito, è propriamente chiamato cornetto (ci spiace, italiani del nord) mentre la brioche è un dolce lievitato dalla forma rotondeggiante. I due dolci, inoltre, sono differenti per quanto riguarda gli ingredienti (la brioche ha più burro e zucchero). Il croissant è un’altra cosa ancora: di forma simile al cornetto, non ha però le uova tra i suoi ingredienti e quindi il gusto del burro risalta maggiormente.
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Cocomero o anguria
È un fatto piuttosto curioso: la famiglia della zucca è quella che crea più malintesi. Uno dei casi di geosinonimi più discussi è quello tra cocomero e anguria. Il sostantivo panitaliano, ovvero quella più diffusa in Italia, è cocomero, mentre anguria è una variante settentrionale. Le varianti, ad ogni modo sono davvero tantissime: nell’Italia del Sud, per esempio, hanno preso in prestito il francese melon d’eau facendolo diventare melone d’acqua mentre in Sardegna hanno adattato lo spagnolo sandía in sindria o mantenendo l’originale. Altri esempi: cucumbra (Marche), pateca (Liguria), zipangolo (Calabria) e sarginesco (Salento).
Chiacchiere o bugie
Se vi diciamo “dolci di carnevale” a che cosa pensate? Beh, alle chiacchiere, giusto? O forse alle frappe? Non ai galani? E alle bugie, non c’avevate pensato? Questi sono solo quattro dei nomi utilizzati in Italia per chiamare lo stesso dolce. La ricetta è piuttosto semplice: farina, uova, zucchero e burro, oltre ad una parte alcolica che varia a seconda delle ricette. Il tutto viene poi tagliato a strisce sottili e infine fritto, procedimento che conferisce alla superficie del dolce le tipiche bolle. I nomi che sono stati a questo dolce, la cui storia risale addirittura agli antichi romani, sono tantissimi e possono cambiare non solo a seconda della regione ma anche da paese a paese. In Veneto, per esempio, possiamo trovare i galani e, a distanza di pochi kilometri, i crostoli. La variante più diffusa, ad ogni modo, è chiacchiere: l’origine di questo nome non è molto chiara, anche se la storia più in voga racconta che il cuoco di corte della regina Margherita diede questo nome al dolce, dopo che la regina gli aveva chiesto di prepare un dolce da gustare durante le sue chiacchierate.
Popone o melone
La coppia di geosinonimi anguria/cocomero è frutto di vari malintesi e ad allargare il campo dei possibili fraintendimenti ci pensa la coppia popone/melone. La prima variante è quella toscana, che però, per qualche motivo ha faticato ad imporsi nel resto d’Italia. Le due forme sono coesistite nel corso dei secoli, ma a partire dal ventesimo secolo popone è diventato sempre più raro nel resto d’Italia, nonostante melone, nella forma mellone, possa indicare il cocomero in alcune parti del Sud Italia. (Bonus: a Pisa, per le generazioni più anziane, il melone è la mortadella).
I geosinonimi negli oggetti
Salvietta o asciugamano
I fraintendimenti tra salvietta e asciugamano nascono esclusivamente nel Nord Italia. Quello che per tutta Italia è noto come asciugamano, in alcune parti del Nord viene chiamato salvietta (o anche salviettone), un termine che però indica generalmente un tovagliolo di stoffa o di carta.
Spillatrice o cucitrice
Lo strumento d’ufficio che, assieme al bianchetto, mette più confusione. Avete presento quell’oggetto che si usa per unire due fogli con una graffetta? Secondo Treccani, la cucitrice è un apparecchio industriale utilizzato per unire lembi di tessuto, mentre lo strumento d’ufficio usato per la carta si chiama spillatrice. Ma questo oggetto ha anche altri nomi in alcune regioni d’Italia e spesso e volentieri queste varianti hanno preso il sopravvento: tra le più comuni ci sono pinzatrice, puntatrice e graffettatrice.
Gruccia o stampella
Si tratta di quell’oggetto che si usa per reggere un abito per poterlo poi appendere nell’armadio. (La leggenda narra che sia stato addirittura un presidente degli Stati Uniti d’America a inventarla, Thomas Jefferson, ma molto probabilmente non è vero.) Ad ogni modo, il nome ufficiale di questo oggetto è gruccia, ma in molte parte d’Italia la gruccia è invece conosciuta come stampella (che a sua volta è tutt’altra cosa in altre zone). E ovviamente non sono solo queste le varianti esistenti: ci sono anche i più didascalici appendiabiti, appendino e attaccapanni nonché omino e ometto.
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I geosinonimi nei mestieri
Fontaniere o idraulico
Quasi tutta Italia, quando ha problemi con il lavandino o con qualche tubo che perde, chiama l’idraulico. Ma in alcune aree d’Italia, specialmente al Sud, questo mestiere ha un altro nome: fontaniere. E non c’è solo questa variante: in Toscana, per esempio, esiste trombaio (da tromba, ‘pompa idraulica’), mentre al nord non è raro trovare lattoniere. Nel Lazio, infine, si è affermato stagnaro, che propriamente detto sarebbe stagnaio, ossia chi lavora con latta e lamiere ed effettua saldature con lo stagno.
Prestinaio o fornaio
Fornaio e panettiere sono sinonimi a tutti gli effetti, perché vengono usati indifferentemente in ogni regione d’Italia, sebbene una volta indicassero due mestieri diversi: il fornaio si occupava del forno mentre il panettiere dell’impasto. Fornaio e panettiere, comunque, hanno un fratello che appartiene in pieno alla categorie dei geosinonimi: prestinaio, una parola ormai scesa nel rango della variante dialettale ma che in realtà ha un origine dotta (pistrinum vuol dire ‘mulino’, ‘forno’). Questa variante si è diffusa principalmente al nord e ha avuto particolarmente successo nel dialetto milanese.
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Babbo o papà
Possiamo discutere se fare il papà sia un mestiere o meno, ma quel che è indiscutibile è che questa coppia di geosinonimi ha dato (e dà ancora) origine a intensi dibattiti: se ne è occupato, tra gli altri, perfino Giovanni Pascoli. Papà è un prestito dal francese mentre babbo è una forma autoctona e le due forme hanno convissuto pacificamente per secoli. In tempi recenti, però, babbo sta perdendo terreno. L’unica zona in cui resiste questa forma (che in alcune zone del Sud significa ‘stupido’, ‘sciocco’) è la Toscana. Inoltre è ancora piuttosto comune in Romagna, nelle Marche, in Sardegna e nella parte settentrionale del Lazio. Tutto il resto d’Italia, però, predilige papà e non è certo un caso che tante espressioni usino papà piuttosto che babbo: figlio di papà, festa del papà, neopapà. Con una sola enorme eccezione: Babbo Natale, il babbo per antonomasia.