Le parole cambiate dalla pandemia

Per esempio: che cosa vi viene in mente se vi diciamo “mascherina”? E se ve l’avessimo detto due anni fa?
Le parole cambiate dalla pandemia | Mascherina

Già nelle prime settimane successive all’individuazione del primo caso di Covid-19 in Italia, i linguisti hanno cominciato a porsi una domanda: la pandemia sta cambiando l’italiano (o l’inglese, il francese, il tedesco)? Dopo più di un anno, è diventato evidente a tutti che un evento di tale portata abbia avuto effetti drastici su ogni aspetto della nostra vita e il modo in cui ci esprimiamo non poteva certo essere un’eccezione. Termini in disuso sono diventati comuni, termini tecnici riservati a una ristretta fascia di specialisti sono apparsi sui titoli del telegiornale e alcuni neologismi hanno fatto il loro ingresso – con alterne fortune – nei nostri discorsi. Il fenomeno più interessante, però, è quello che ha riguardato dei termini specifici il cui significato ha subìto delle modifiche. La pandemia ne ha cambiato la nostra percezione, a volte con degli slittamenti semantici di cui molti di noi non si sono nemmeno accorti. Ma quali sono le parole cambiate dalla pandemia?

Mascherina

Secondo il Gran Dizionario della Lingua Italiana, la parola maschera ha ben 36 accezioni, basti pensare a tutte le sue applicazioni nel campo del teatro. Prima della pandemia, mascherina poteva essere associato a vari significati, sia letterali che metaforici: una persona il cui inganno è facile da svelare (“Ti conosco, mascherina!”), una striscia di tela usata per coprire gli occhi e dormire meglio, una parte dell’auto. Ma oggi, quando si parla di mascherina, c’è un solo significato: quello del dispositivo di protezione individuale che utilizziamo prevalentemente negli ambienti chiusi per prevenire il contagio.

Bolla

Altra parola polisemica, ossia dotata di diversi significati che possono anche essere trasposti metaforicamente, bolla è un termine che ha avuto particolare successo nei primi mesi della pandemia. La bolla, com’è noto, può essere di sapone, può riguardare un malessere fisico (una vescica) ma viene anche utilizzata in campo botanico e chimico. In senso figurato, il termini ha avuto un grande successo per descrivere qualcosa di effimero, destinato a sparire velocemente (la “bolla immobiliare”). Con l’avvento della pandemia, bolla ha preso un altro significato figurato: in ambito sportivo, ma non solo, si è usato questa parola per descrivere una condizione di isolamento con regole rigide per preservare chi vi si trova all’interno. Tutto il contrario di effimero, dunque, anche se a dire il vero poteva bastare anche una sola violazione del controllo per far “scoppiare la bolla”.

Tamponare

Forse l’esempio più lampante di come la pandemia abbia cambiato alcune parole di uso comune. Prima di marzo 2020, tamponare aveva essenzialmente due significati principali: quello usato in ambito automobilistico, quando un’auto ne urta un’altra; e poi quello usato in ambito medico, che in senso metaforico significa “porre un rimedio provvisorio in caso di emergenza”. L’avvento dei tamponi per rilevare la presenza dell’infezione, però, ha introdotto un significato nuovo per tamponare, e cioè effettuare il test tramite tampone. Tra la parole cambiate dalla pandemia, quello di tamponare è il caso in cui lo slittamento semantico, pur essendo poco elegante, si è imposto con grande rapidità, di pari passo con la necessità di raccontare la diffusione del virus e i metodi attuati per contrastarla.

(Leggi anche: Canzoni sulla pandemia da tutto il mondo)

Gel

Prima della pandemia, se dicevi gel pensavi principalmente al gel per i capelli, giusto? Adesso anche la percezione di questo termine è cambiata: è vero che anche prima del 2020 gel era un termine con cui ci si poteva riferire a un’ampia varietà di prodotti, ma le procedure di igiene personale imposte dalla pandemia hanno portato alla ribalta i gel disinfettanti. Ora il gel è principalmente quello che usiamo per disinfettare le mani entrando in un negozio, non più quello con cui ci si modellava i capelli (e in effetti non è un gran perdita).

Positivo

Le difficoltà dell’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nello spiegare ai giornalisti che il suo test era risultato negativo sono indicatrici di quanto la percezione della parola positivo sia cambiata. “Il mio test è risultato positivamente verso il negativo”: forse imbeccato da qualche spin doctor che gli ha inculcato l’idea di evitare termini negativi come appunto negativo, Trump deve aver pensato che la positività, perfino in un caso come questo, non andasse messa da parte. A dire il vero, la confusione dell’utilizzo di positivo in ambito medico è piuttosto radicata, ma è con l’avvento della pandemia di Covid-19 che l’ossimoro per cui un esito negativo è in realtà positivo è diventato parte integrante della nostra lingua e della nostra routine.

(Leggi anche: Le 7 cose che la lingua italiana non può fare)

Aerosol

La diversa percezione che abbiamo oggi della parola aerosol non è dovuta a uno slittamento semantico. Ne abbiamo dovuto fare i conti a causa delle modalità di contagio: com’è noto, il Sars-Cov-2 si diffonde principalmente tramite i droplet (goccioline) che emettiamo quando starnutiamo, tossiamo o parliamo. E l’aerosol è esattamente questo: un liquido o un solido disperso in un gas. Ma fino all’inizio della pandemia, quando parlavamo di aerosol, parlavamo principalmente di un dispositivo medico dotato di nebulizzatore che trasforma una soluzione di medicinali in goccioline, che vengono inalate dal paziente. Dalla pandemia in poi, invece, si parla di aerosol quasi esclusivamente per indicare tutt’altro tipo di soluzione: il veicolo principale con cui il virus si diffonde da un individuo a un altro.

Congiunto

La parola congiunto (secondo Treccani “chi è legato ad altri da un vincolo di parentela”) è forse quella che, tra le parole cambiate dalla pandemia, ha scatenato i dibattiti legali e linguistici più accesi. A causa di una legislazione a volte farraginosa, nei primi mesi di lockdown si è scatenata la questione: chi è un congiunto? Qual è il grado di affetto che devo provare nei confronti di una persona per far sì che il ricongiungimento (altra parola che ha avuto un inatteso successo dalla pandemia in poi) con questa persona possa avvenire nei termini della legalità? Dal momento in cui venne usata in un DPCM (quello del 26 aprile 2020 che inaugurava la fase 2 e permetteva alcuni spostamenti fino ad allora vietati) nonché dal presidente del consiglio durante la rituale conferenza stampa, la parola congiunto è entrata a far parte in pianta stabile del discorso pubblico. Da termine asettico, pignolo e burocratico che farebbe bella figura in un verbale dei carabinieri, congiunto ha cambiato completamente la sua dimensione, diventando la base di meme, battute e frecciatine. Un termine dal valore semantico difficile da definire, improvvisamente pregna di significati, che riassume meglio di qualunque altro termine che cosa è avvenuto durante la pandemia e gli effetti che ha avuto nel modo in cui ci esprimiamo.

(Leggi anche: Parole che vanno, parole che vengono)


📷 Participating in Mardi Gras carnival keeping safety procedures by Marco Verch Professional Photographer | Flickr | Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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