“Horcynus Orca”, il romanzo italiano che nessuno vuole tradurre

La complicata storia editoriale di un romanzo difficile.
Un'orca che emerge dall'acqua | Horcynus Orca

Poco letto in Italia e praticamente del tutto ignoto all’estero, eppure si tratta di uno dei romanzi più importanti del Novecento: è “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo, pubblicato per la prima volta nel 1975 da Mondadori e protagonista di una storia editoriale a dir poco accidentata.

Pochi di voi ne avranno sentito parlare. La mole di quest’opera (1257 pagine, uno dei romanzi più lunghi che siano mai stati scritti) la rende infatti ostica a gran parte dei lettori. Ma non è solo la lunghezza, a renderne difficile la lettura.

La lingua di D’Arrigo, raffinatissima e sperimentale, è a tratti davvero difficile da decifrare ed è questo il principale motivo per il quale “Horcynus Orca” è praticamente sconosciuto all’estero. Pochissime persone – anzi, una soltanto – sono riuscite a portare a termine la sua traduzione.

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La complicata storia di Horcynus Orca

D’Arrigo cominciò a lavorare su quest’opera già nel 1950. Nel 1959 una prima versione del romanzo vinse un importante premio letterario, nella cui commissione si trovava Elio Vittorini. Lo scrittore, siciliano come D’Arrigo, era entusiasta di ciò che aveva letto e fece pubblicare un ampio estratto dell’opera sulla rivista letteraria che dirigeva allora, Il Menabò.

Fu allora che D’Arrigo e “Horcynus Orca” (che non si chiamava ancora così, ma “I fatti della fera”) cominciarono a farsi notare, tanto che Mondadori si propose di pubblicare il romanzo. Nel 1961 D’Arrigo aveva praticamente terminato la stesura del dattiloscritto e tutto sembrava pronto per la pubblicazione.

Lo scrittore stesso, convinto di essere arrivato alla forma definitiva, rifiutò l’aiuto della casa editrice e promise di restituire le bozze corrette in meno di quindici giorni. Ma in realtà ci metterà quindici anni: “Horcynus Orca”, infatti, verrà pubblicato nel 1975.

Il multilinguismo di D’Arrigo

Come detto, il tratto più caratteristico di “Horcynus Orca” è la lingua: in questo romanzo trovano spazio sia l’italiano che il siciliano, ma anche neologismi e termini stranieri che vengono italianizzati (come visavì dal francese “vis à vis”, cioè “faccia a faccia” o ferribò dall’inglese “ferry-boat”, cioè “battello a vapore”).

Uno degli aspetti più interessanti della lingua di D’Arrigo riguarda il ruolo del lettore. Molte delle parole usate da D’Arrigo, infatti, non sono immediatamente comprensibili, ma nessuna di queste viene utilizzata una sola volta. La ripetizione delle parole aiuta pian piano a capire il significato e le sfumature dei neologismi e quindi al lettore viene chiesto di partecipare attivamente al meccanismo creativo.

L’accumularsi di dialetto, italiano, neologismi, calchi, onomatopee e forestierismi italianizzati non è un esercizio fine a sé stesso. L’obiettivo di D’Arrigo è giungere a una lingua viva, “tradurre l’esperienza di vita densificando le parole più che può”, come scrive Virginia Fattori. Solo in questo modo è possibile rappresentare in modo fedele la complessità del mondo che ci circonda e la pluralità di personaggi (e dunque di lingue, di codici) che lo compongono.

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Di cosa parla Horcynus Orca?

La storia di “Horcynus Orca” si svolge in una manciata di giorni nell’ottobre del 1943, cioè quando l’Italia firmò l’armistizio con gli Alleati nella Seconda guerra mondiale.

Il protagonista, Andrea Cambria, sta tornando a casa sua in Sicilia e il romanzo racconta il suo scalcagnato viaggio tra Napoli e Cariddi, un paesino sullo stretto di Messina,in un’Italia allo sbando, tra macerie e figure emarginate. Poco dopo il suo ritorno, fa comparsa a Cariddi il mostro che dà il nome all’opera: l’orca.

I riferimenti letterari sono molteplici: i più ovvi sono naturalmente Moby Dick e l’Odissea, ma D’Arrigo prese ispirazione anche dall’Ulisse di James Joyce, senza dimenticare la letteratura “di mare” di Joseph Conrad e Louis Stevenson. Il tòpos letterario che percorre tutta l’opera è quello del ritorno a casa ed è stato notato che l’opera è quasi un poema epico in prosa.

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Tradurre un romanzo intraducibile

L’obiettivo di D’Arrigo non era quello di scrivere un romanzo ostico da leggere, anzi. L’autore voleva invece che la sua lingua fosse comprensibile a tutti, una lingua in cui ogni elemento ha “diritto di cittadinanza”.

Eppure è indubbio che un esperimento linguistico di questo tipo abbia scoraggiato molti traduttori. Ad oggi esiste una sola traduzione completa, in tedesco, di “Horcynus Orca”; in francese sono stati tradotti solo dei passaggi dell’opera, mentre in inglese è stato avviata una traduzione che non è ancora stata completata.

Uno degli ostacoli più grossi è rappresentato certamente dall’ingente mole di ricerca che una traduzione del genere richiede. E di certo non aiuta il fatto che D’Arrigo sia morto nel 1992. Sia Stephen Sartarelli – il traduttore inglese – che Moshe Kahn – il traduttore tedesco – hanno conosciuto personalmente l’autore e, nel caso di Sartarelli, hanno intrattenuto una lunga conversazione epistolare con D’Arrigo, come scrive Daria Biagi in D’Arrigo e i traduttori di Horcynus Orca. Lettere, confronti, interpretazioni.

La traduzione tedesca di Horcynus Orca

L’immane lavoro di traduzione in tedesco da parte di Kahn è durato svariati anni, ma lo sforzo ha pagato, dato che “Horcynus Orca” ha venduto piuttosto bene nei paesi di lingua tedesca e, di riflesso, è tornato a far parlare di sé anche in Italia.

A un certo punto, però, Kahn era quasi arrivato a un punto morto, stremato dalla complessità del compito. Ma poi la rivelazione era arrivata: gran parte delle trovate linguistiche di D’Arrigo erano basate sull’etimologia (o sulla paretimologia, cioè l’etimologia popolare, scorretta ma ormai impostasi) e quindi, essendo la lingua siciliana imparentata strettamente con il greco, occorreva trattare l’opera come se fosse stata scritta in greco.

Cioè? Kahn si è rifatto ad autori tedeschi come Hölderlin e Kleist, i quali avevano rinnovato la loro lingua ispirandosi alle traduzioni tedesche degli autori classici greci, sfruttando quelle sperimentazioni metriche per la propria traduzione. Isabella Horn ha descritto, fornendo vari esempi, come il traduttore tedesco sia riuscito nell’impresa.

Un romanzo prismatico

Kahn ha avuto un aiuto in D’Arrigo stesso, che quando conobbe il traduttore, insistette molto sull’importanza della musicalità del linguaggio in “Horcynus Orca”. Anche a costo di allontanarsi dalla precisione filologica, insomma, ciò che era davvero cruciale era conservare anche in tedesco la musicalità su cui l’autore aveva lavorato con così tanta passione.

Tuttavia, come spiega D’Arrigo in una lettera a Sartarelli, nessuna parola è mai stata scelta esclusivamente per il suo suono. Un’ulteriore prova dei numerosi strati di quest’opera: ogni parola nasconde in sé vari piani ed è questa molteplicità a rendere “Horcynus Orca” un libro così affascinante e prismatico, un mistero difficile da svelare che rappresenta un vero rompicapo anche per il traduttore più esperto.

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