Storia della lingua francese e del suo ruolo politico

Lingua e politica sono legate molto più di quanto pensiamo: la storia del francese ne è un ottimo esempio.
Rappresentazione illustrata di alcuni episodi della Chanson del Roland

Le prime domande sulla storia della lingua francese sorsero nel sedicesimo secolo, quando ormai esisteva già da cinque secoli. In questo articolo riporteremo alcuni dei momenti salienti della storia della lingua meno neolatina di tutte, dalle origini fino al suo riconoscimento ufficiale nel 1539.

L’importanza di questa lingua è indubbia, non solo perché è parlata da più di 274 milioni di persone, rendendola la quinta lingua più parlata del mondo e la seconda più insegnata dopo l’inglese, ma anche perché la Francia ha sempre rivestito un ruolo importantissimo dal punto di vista culturale. Basti pensare ai tantissimi francesismi presenti nella lingua italiana, segno tangibile dell’influenza che questa lingua ha avuto nel nostro paese. Ma lo stesso si può dire del tedesco, dell’inglese, dello spagnolo e di tantissime altre lingue.

Breve storia della lingua francese

La Gallia Romana

Per comprendere la storia della lingua francese, è necessario tornare indietro di due millenni. Al termine delle guerre galliche (che ebbere luogo tra il 58 e il 51 a.C.), i territori a sud del Reno erano diventati province romane. Lo sviluppo delle città e del commercio accrebbe la comunicazione orizzontale tra i Galli e i Romani: per cinque secoli il latino parlato, detto “volgare” (da vulgus, ossia “popolo”), affiancò il gallico, che è una lingua celtica.

Tuttavia, poiché non era una lingua scritta, il gallico ebbe difficoltà a sopravvivere, in particolar modo al sud della Francia, che era più romanizzato. Al giorno d’oggi, delle 100.000 voci che compongono il dizionario della lingua francese Le Grand Robert, solo poche centinaia di parole hanno un’origine gallica. Sono legate soprattutto al territorio, come ad esempio: char (“carro”), bruyère (“erica”), chêne (“quercia”), if (“tasso”), chemin (“cammino”), caillou (“sasso”), ruche (“alveare”), mouton (“pecora”), tonneau (“botte”).

L’arrivo dei Franchi

Nel quarto secolo, molti Franchi si erano già stabiliti nel nord-est ed erano stati assimilati all’interno delle truppe romane. Nel quinto secolo, mentre l’Impero romano d’Occidente si sfaldava sotto le pressioni delle invasioni barbariche, i Franchi resistettero intorno al Reno. 

A seguito di diverse vittorie, Clodoveo unificò i popoli franchi e cercò l’appoggio delle grandi famiglie gallo-romane. A tal fine, adottò la loro lingua, il gallo-romano, e la loro religione, il cattolicesimo. A causa dell’origine germanica dei Franchi, la pronuncia e la melodia della lingua cambiarono. I Franchi introdussero nuovi suoni (come [œ] di fleur, “fiore”, e il suono [ø] di nœuds, “nodi”) e una serie di parole. Ma soprattutto, questo popolo germanico diede il proprio nome alla futura Francia. 

Illustrazione di Adélaïde Laureau

Storia della lingua francese: un’origine politica

Alla fine dell’ottavo secolo, l’istruzione aveva subito un tracollo. La gente comune non capiva più il latino parlato dal clero. Al termine del Concilio di Tours, nell’813, Carlo Magno impose che le omelie venissero pronunciate nella “lingua romana rustica”, ossia nei dialetti locali.

Si tratta del primo riconoscimento ufficiale della lingua parlata.  Il vero atto di nascita del francese avrà però luogo tre decenni più tardi. Quando arrivò il momento di dividere l’impero, sorsero tensioni tra Lotario e i suoi due fratelli, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, che si allearono contro di lui.

Nell’842, Carlo e Ludovico prestarono giuramento e ciascuno di loro si espresse nella lingua che le truppe dell’altro fratello avrebbero potuto comprendere: Carlo in alto-tedesco antico (la lingua antenata del tedesco) e Ludovico in lingua romanza (la lingua antenata del francese). 

Trascritti da un testimone dell’evento, i giuramenti di Strasburgo rappresentano l’atto di nascita della lingua tedesca e della lingua francese. Con il passaggio dall’orale allo scritto, la lingua, ancora molto vicina al latino volgare, si consolidò. In sostanza, si iniziò a parlare francese nel momento in cui si iniziò a scriverlo. 

Il retaggio dei Franchi

Nel decimo secolo, il gallo-romano aveva ormai assunto centinaia di forme diverse. Nel Nord si formò un gruppo di lingue influenzate dal fràncone, la lingua dei Franchi: si trattava delle cosiddette lingue d’oïl. Nel Sud romanizzato, si svilupparono invece le lingue d’oc (oïl e oc significano “sì”).

Le lingue d’oïl comprendevano, tra gli altri, i dialetti piccardo, vallone, borgognone nonché il franciano, mentre tra le parlate d’oc rientravano il limosino, l’alverniate, il provenzale, il linguadociano… Del fràncone ci restano oggi circa un migliaio di parole, come ad esempio i sostantivi che iniziano per “h” aspirata: hache (“scure”), haine (“odio”), hêtre (“faggio”), héron (“airone”) oppure parole come guerre (“guerra”), gâcher (“sprecare”), garder (“custodire”) o gage (“pegno”).

Ci sono poi alcuni suffissi, come -ard in couard (“codardo”) o bavard (“chiacchierone”), -aud in penaud (“mortificato”) o rustaud (“zotico”), -ois/ais in François o français (“francese”), che rivelano l’origine fràncone di un termine; lo stesso vale per diversi prefissi, ad esempio mé- in mésentente (“screzio”) o mépris (“disprezzo”), e per alcune regole sintattiche, come l’inversione di verbo e soggetto nelle frasi interrogative. 

Il francese antico (X-XIII secolo)

Il latino rimaneva la lingua della religione, dell’istruzione e della legislazione, ma, a poco a poco, si sviluppò una letteratura in lingua vernacolare. A partire dalla fine del nono secolo, i trovatori (troubadours) al Sud e i trovieri (trouvères) al Nord iniziarono a cantare i loro poemi nei diversi dialetti. 

La Chanson de Roland (“Canzone di Rolando/Orlando”), scritta in lingua d’oïl, è uno degli esempi più emblematici della letteratura di quest’epoca e un pezzo importantissimo di storia della lingua francese.

Esistono però grandi differenze tra i testi: contengono infatti parlate diverse, che sfuggono a regole precise, e la lingua, trascritta da copisti fantasiosi, è imprecisa. Alcuni intrapresero persino una ri-latinizzazione del lessico. 

Nel dodicesimo secolo, il regno era ancora diviso tra oïl e oc. Ciononostante, l’estensione progressiva del potere reale dall’Île-de-France permise ai regnanti di imporre la loro autorità. La lingua (d’oïl) diventò uno strumento di potere e un elemento di unificazione del regno.

La lingua guarda alla storia

Nel quattordicesimo e quindicesimo secolo, la Francia stava attraversando un periodo buio: la peste nera e la Guerra dei cent’anni stavano decimando la popolazione e l’autorità monarchica era sull’orlo del baratro. I testi di François Villon, scritti in francese medio, riflettono questo periodo travagliato.

Per un lettore moderno, questa lingua è più leggibile. In seguito alla perdita delle due varianti, la posizione delle parole si era consolidata e la lingua andava delineandosi. Alcune delle grafie allora in uso oggi fanno sorridere, come doncques invece di donc (“dunque”), pluye invece di pluie (“pioggia”) oppure oyseaulx al posto di oiseaux (“uccelli”). La lettera “y” andava di moda; invece le lettere “k” e “w”, considerate poco latine, furono eliminate. 

Il quindicesimo secolo vide l’inizio del Rinascimento in Italia e l’avvento della stampa; furono riscoperti i testi antichi e l’invenzione di Gutenberg permise una rapida diffusione della conoscenza. Per pubblicare opere in massa, era necessario standardizzare la lingua.

Le lingue vernacolari vennero così ufficialmente riconosciute. La questione aveva due facce: una religiosa (la Bibbia venne pubblicata in tedesco nel 1522) e una politica. Con l’ordinanza di Villers-Cotterêts, nel 1539, il francese diventò la lingua del diritto e dell’amministrazione, sostituendo il latino. Attraverso quest’atto politico, il re Francesco I voleva “fare la Francia”: senz’ombra di dubbio il momento cruciale della storia della lingua francese.

Storia della lingua francese: una rivoluzione linguistica

Per conferire legittimità alla lingua francese ed elevarla ad un rango più alto, furono avanzate diverse ipotesi, spesso piuttosto arzigogolate, secondo le quali il francese proverrebbe dalle lingue sacre, ossia dal latino classico, dal greco o persino dall’ebraico

I primi grammatici gettarono le basi per un dibattito secolare: bisogna privilegiare l’uso o si deve ragionare sulla lingua? Un esempio di questa emulazione linguistica fu Joachim Du Bellay, che pubblicò Défense et illustration de la langue française nel 1549. Du Bellay era uno degli autori che facevano parte della Pléiade (la prima scuola letteraria francese) e svolgevano anche il ruolo di teorici e lessicografi.

La lingua venne di nuovo latinizzata, talvolta anche a sproposito.  La grafia della parola “dito”, ad esempio, cambiò: da doit si trasformò in doigt (dal latino digitus). Lo stesso avvenne per la parola “piede”: da pie si trasformò in pied (dal latino pedis). I termini considerati ”barbarici”, vale a dire non latini, furono eliminati dal lessico.

In seguito a questi mutamenti, gli scrittori fecero ricorso a più di 2.000 prestiti linguistici e a neologismi, dando vita a doppietti linguistici. Écouter (“ascoltare”) e ausculter (“auscultare”), per esempio, condividono la stessa origine (il latino auscultare).

L’accentramento linguistico

Essendo soggetto a un duplice influsso, politico e letterario, il francese era dunque una lingua proveniente “dall’alto”.  Tuttavia, nel sedicesimo secolo, il numero di persone che parlava la lingua del re non superava il 10-20% della popolazione. Questa situazione si evolse con molta lentezza, nonostante l’utilizzo del francese si stesse diffondendo nelle corti europee e persino oltreoceano.

Il francese è una lingua di paradossi, in lotta per eliminare elementi “barbarici” che rimangono tuttavia parte integrante della sua identità. Tra zone d’ombra, ipotesi azzardate e persino un pizzico di malafede, lo studio diacronico della lingua ci fornisce informazioni sulla storia della Francia, che oscilla sempre tra il forte desiderio di un’unità spesso fittizia e la realtà dei fatti, che consiste in una grande varietà. 

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