Mentre mi stavo spremendo le meningi per cercare nei miei ricordi qualche esempio linguistico della fantasia degli autori, una nobile parola forgiata nella fucina creativa di qualche illustre scrittore, l’unico termine che continuava a balzar fuori con insistenza nel mio cervello era “cetriolonzoli”, ovvero la poltiglia che nel “GGG” di Roald Dahl mangia il gigante gentile e che naturalmente ricorda i cetrioli del nostro mondo. Possibile che fra tutti i termini poetici, tra tutti i meravigliosi esempi che potevo trarre sulla bellezza e il liricismo della lingua letteraria, la mia mente si è volta verso “cetriolonzoli”? Ebbene sì, da Babbel hanno scelto me per farvi da guida in questo podcast. Che posso dire… Iniziamo!
“Un modo di rendere produttive, in senso fantastico, le parole, è quello di deformarle. Lo fanno i bambini, per gioco, un gioco che ha un contenuto molto serio, perché li aiuta a esplorare le possibilità delle parole, a dominarle, forzandole a declinazioni inedite; stimola la libertà di parlanti, con diritto alla loro personale parola; incoraggia in loro l’anticonformismo”. Queste le parole di Gianni Rodari nella sua “Grammatica della Fantasia”, l’ABC per ogni creativo e per ogni educatore.
Non stupisce quindi che certi autori abbiano conservato intatto questo spirito fanciullesco, inserendo nella loro opera, parole o intere espressioni che non trovano riscontro nella lingua codificata dei parlanti e nascono invece dalla loro immaginazione. Alcune sono delle forzature e delle distorsioni di parole già esistenti, come almosting di Joyce, traducibile in italiano con “quasendo”. Si tratta infatti di una distorsione della parola inglese almost (“quasi”) e dipinge lo sforzo di arrivare a qualcosa, lo stato di mezzo tra una meta e l’altra in cui spesso siamo bloccati. Altre invece sono frutto di un puro gioco combinatorio come upsilamba di Nabokov. Poi c’è chi si è spinto oltre, arrivando ad inventare non solo qualche parola, ma vere e proprie lingue, come Tolkien con l’elfico del “Signore degli Anelli”.
La maggior parte di queste parole d’autore rimane all’interno del mondo di carta creato dagli scrittori e non attecchisce nella lingua standard. Eppure, qualche volta si allineano i pianeti e parole inventate dagli scrittori – che evidentemente rispondono ad un’esigenza linguistica, a una mancanza rilevata dai parlanti – entrano a pieno titolo nel linguaggio comune, lasciando un’impronta innovativa indelebile, i cosiddetti “neologismi letterari”.
Potete immaginare il motivo per cui Dante è considerato uno dei padri della lingua italiana, insieme a Manzoni. La “Divina Commedia” ha contribuito in maniera decisiva al vocabolario dell’italiano. Qualche esempio? “Quisquilia”, “bolgia”, “gabbare” e tantissime espressioni idiomatiche, come “galeotto fu…”, “il bel Paese”, “senza infamia e senza lode”, “non ti curar di loro ma guarda e passa”. Persino la più popolare “stai fresco” -usata per indicare l’invito ad arrangiarsi perché tanto quella cosa che speravamo non succederà mai – è stata usata per la prima volta da Dante Alighieri. Nel verso 117 del XXXII canto dell’Inferno, riferendosi ai dannati sepolti e imprigionati per sempre nel lago ghiacciato di Cocito, il poeta scrive infatti: “Là dove i peccatori stanno freschi”.
Lo stesso discorso si può fare per Shakespeare; è davvero sterminato il catalogo di parole inglesi inventate dal Grande Bardo, a cominciare da lonely. La tristezza derivata dall’isolamento infatti, prima del “Coriolano”, non aveva una parola inglese. Ancora oggi è in effetti difficile renderla in italiano e spesso si usa il termine “solo”, corrispettivo di alone. Shakespeare è anche patrono di laughable, ovvero “risibile” (apparso nel “Mercante di Venezia”), gloomy, undress e rant, lo sproloquio che scaturisce quando si vuole polemizzare, il dare in escandescenze contro qualcosa che davvero non ci va giù.
E nella lingua inglese ci sono anche altre sorprese:
Sapevate che freelance, una parola che sembra così legata alla contemporaneità, è stata invece coniata da Sir Walter Scott nel suo Ivanhoe? Indicava un cavaliere mercenario. Fa un po’ ridere.
Altra parola che sembra uscita direttamente dalla rete è nerd, che ha invece una storia più longeva e risale al 1950. È lo scrittore e fumettista statunitense dr. Seuss ad averla creata, intendendo una persona esageratamente secchiona.
Tornando all’italiano, Giacomo Leopardi è il padre dell’aggettivo “fratricida” e dei verbi “incombere” ed “erompere”, mentre Gabriele D’Annunzio è il responsabile della parola “tramezzino”. Egli infatti odiava i prestiti e non voleva importare sandwich, così inventò “tramezzino” da “tramezzo”, come momento di transizione tra la colazione e il pranzo. E ancora “velivolo” (perché l’aeroplano “par volare con le vele”), “scudetto” e “vigili del fuoco” (sempre perché odiava i prestiti e “pompieri” è un calco dal francese pompier).
A proposito di francese, un’espressione che mi ha sempre colpito è esprit de l’escalier. Rende perfettamente quel senso di impotenza che ti attanaglia quando si subisce una provocazione verbale o un pensiero ritenuto ingiusto senza essere in grado di esprimere o elaborare una replica immediata e adeguata, mentre una risposta vincente ed efficace sovviene solo in un secondo momento, quando si è ormai “sulla scala”, cioè quando è troppo tardi per usarla. A coniare l’espressione è stato il filosofo illuminista Diderot, che affermò: “L’uomo sensibile, come me, colpito dall’argomentazione data a suo sfavore, perde la testa e non la ritrova se non in fondo alle scale” (farsi sovvenire alla mente la risposta appropriata in fondo alle scale significava farlo quando si stava già lasciando il ricevimento).
Ci siamo limitati agli scrittori, ma i neologismi nascono anche in altri ambiti: nella stampa, nella televisione, in ambito scientifico, nello sport. Pensiamo al paroliere Gianni Brera, che inventò il termine calcistico “contropiede” attingendo al greco antico antipos, ma anche al “cannocchiale” di Galileo Galilei, fino ad arrivare ai termini più comuni come “stalkerare”, “instagrammare”, “carrambata”, “selfie” e il tanto discusso “petaloso”, inventato da un bambino a scuola. In realtà “petaloso” non è affatto un neologismo, o almeno non ancora, perché ricordiamo sempre che le parole – per quanto possano essere geniali, accurate e belle – entrano nella lingua corrente grazie alle persone che le usano e non perché qualcuno l’ha deciso. Quindi, se oggi vi sentite particolarmente creativi e volete inventare un mucchio di parole scoppiettanti, ricordatevi che non è così semplice convincere milioni e milioni di persone ad utilizzarle.
FONTI:
Linguaggi e parole inventati dagli scrittori
Le lingue private inventate dagli scrittori
Parole italiane inventate da scrittori, che oggi tutti usano
Parole inglesi inventate da scrittori
Parole inventate da Gabriele D’Annunzio
10 parole inventate da grandi scrittori